Beppe Carletti (musicista)     Monastir (Cagliari) 30 ago. 09

                      Intervista di Gianfranco Gramola

Beppe Carletti: un musicista che, insieme alla leggendaria band dei Nomadi, ci ha regalato canzoni incredibili, animate da impegno civile e denuncia sociale.

Di appendere la tastiera al chiodo non ne vuole sapere Beppe (Giuseppe) Carletti, leader storico della mitica, inossidabile e perché no, inaffondabile band dei Nomadi. La pensione non fa per lui. Nato a Novi di Modena il 12 agosto del ’46 sotto il segno del Leone, Carletti mi racconta che suona la fisarmonica da quando aveva 9 anni e nel 1963, insieme ad Augusto Daolio, ha fondato il gruppo dei Nomadi. Musicista geniale e pignolo, si alterna dalle tastiere e alla fisarmonica. Abita a Novellara con la famiglia, dove molto spesso viene raggiunto dai fan.

Ha detto:

- Io chiamavo Augusto “l’imbratta tele”, ma in realtà ho sempre amato i suoi dipinti, soprattutto quelli a china.

- Penso che Augusto ci debba qualcosa,  perché se avessimo smesso di suonare dopo la sua morte, oggi la gente si ricorderebbe meno di lui. 

- Siamo i diesel della canzone italiana, pronti ogni volta a ripartire per nuove avventure.

- Amo ricordare Augusto quando diceva: "Apri il cuore e accontentati di quello che il sole scalda e la vita concede".

Curiosità

- Ha due figli: il maschio fa l’avvocato e la femmina è laureata e fa l’assessore a Reggio Emilia.

- I fan club dei Nomadi ha raggiunto quota 150 e 150 circa sono i concerti che i Nomadi fanno in un anno.

- La canzone “Dio è morto” venne censurata dai dirigenti Rai, mentre la radio Vaticana la metteva in onda. Veniva addirittura suonata nelle chiese.

Intervista

Lo contatto sul telefonino durante le pause tra un concerto e l’altro del suo tour che lo vede spaziare per tutta l’Italia, isole comprese. Da buon emiliano è molto socievole, bonaccione e spiritoso.

Il Trentino ha portato sempre bene ai Nomadi. Che ricordi hai del periodo in cui suonavate a Levico?

A parte che ero molto più giovane e quindi un po’ più spensierato, avevo meno problemi non era così impegnativo, adesso c’è più industrializzazione nel tutto quindi meno improvvisazione perché poi quando si sale così, bisogna avere una certa organizzazione. Chiaramente è stato un periodo molto bello bisogna e dico sempre che bisogna saper prendere tutti i momenti che la vita ti offre. Anche in questo momento è altrettanto bello, perché se uno ripensa che più di quaranta anni fa eravamo partiti così per gioco, ed adesso lo facciamo per professione e con successo, vuol dire che qualcosa sappiamo far che sappiamo trasmettere. A Levico, agli inizi, abbiamo suonato per due mesi di seguito al Lido e nel ’65 abbiamo anche registrato il nostro primo disco. Ancora oggi, quando vengo a Levico, provo delle emozioni incredibili, per via dei tanti ricordi che ho lasciato in questo piccolo paese.

In quale zona del trentino siete più acclamati?

Il Trentino è abbastanza vasto, ma non c’è una zona del trentino dove siamo più amati, che in un’altra. Anche perché la gente si muove, non è più come una volta che abbracciavi solo quelli del luogo, adesso abbracci un po’ tutti, sia quelli che vengono da Bolzano o dell’alto Veronese.

Ricordo con molto piacere i vostri concerti in Val di Non.

Si! Ne abbiamo fatti tanti a Mollaro e a Taio, nella famosa valle delle mele (risata). Anche lassù siamo sempre stati accolti con molto affetto. La gente ci vuole molto bene e questo ci dà tanta energia, ci dà stimoli, ci dà un’iniezione di ottimismo, che noi contraccambiamo con la musica, facendo passare ai nostri amici trentini un paio di ore di serena euforia e spensieratezza.

Nella vostra carriera ci sono stati degli alti e bassi. Avete mai pensato di buttare tutto all’aria e smettere?

Smettere? Questa è la nostra professione e ancora prima la nostra passione, Gianfranco. Certamente un po’ di sconforto ci può essere, tipo quando è morto Augusto Daolio e quando è morto Dante Pergreffi (tutti e due nel 1992, ndr.). Sono cose che ti segnano dentro, ti condizionano la vita, ti induriscono e ti invogliano a smettere. E’ brutto dirlo, però la vita continua, quindi si va avanti anche ricordando i momenti belli di quelli che non ci sono più. Vieni preso da sconforto quando vieni colpito da queste vicende umane, però si va avanti e la passione rimane, perché è molto forte e poi suonare è la cosa che ci riesce meglio.

Perché i Nomadi piacciono tanto?

Piacciamo tanto per la nostra semplicità e sicuramente per le canzoni che portiamo in giro da quasi mezzo secolo. Questi motivi sicuramente fanno la parte del leone.

Tanti concerti, tanta solidarietà e imprese umanitarie. Da chi è nata l’idea di unire la musica alla solidarietà?

L’accoppiata musica e solidarietà è nata dopo la scomparsa di Augusto Daolio. Da quel momento è partito il tutto, stranamente senza cercarlo e senza volerlo a tutti i costi e soprattutto in un modo naturale. Ed è molto bello, perché non ci costringe nessuno a fare un certo tipo di solidarietà e i Nomadi l’hanno fatto, partendo dal 1994 e adesso che siamo nel 2009 lo continuiamo a fare, con l’aiuto di tutte le persone che vengono a vederci ai nostri concerti. Abbiamo girato per il mondo portando aiuti ai popoli e alle culture più minacciate, come a Cuba, in Tibet, in Chiapas, in Cile, in Perù ecc... Sono piccole cose, se vogliamo, che però alla fine diventano grandi perché sono fatte con il cuore e non pensando ai soldi e all’interesse.

Adesso sei un grande musicista. Ma i tuoi genitori che futuro sognavano per te?

I miei genitori avevano il pensiero che avevano tutti i genitori di allora, quando i loro figli smettevano a 14 anni le scuole medie, quando non c’era ancora l’obbligo di fare le superiori. E quindi speravano che i loro figli trovassero un lavoro, casomai artigianale, tipo il falegname, il meccanico, ecc… lavori abbastanza importanti per quel tempo e che garantivano il pane quotidiano. Con il tempo sono diventati ancora più importanti, perché nessuno vuole fare più quel tipo di lavoro. Io non so cosa avrei fatto nella vita, perché ho sempre suonato e quindi mi viene difficile dire che avrei sognato di fare questo o quel mestiere. Il mio desiderio di suonare e di vivere di musica è partito da bambino e, insieme a degli amici, sono riuscito a realizzarlo e quindi credo che sia una gran bella soddisfazione. Io auguro a tutti di trarne una professione dalle proprie passioni. Lo auguro a tutti perché è la cosa più bella per una persona, sia uomo che donna, che possa desiderare.

Fra tanti personaggi illustri che hai conosciuto, c’è Dalai Lama. Che ricordo hai di lui?

Di lui m’ha colpito l’energia che trasmette, la sincerità, il suo modo di parlare e tutto il modo di fare. In fondo lui non è il capo di un governo, ma lo è di un popolo e anche di una religione o meglio chiamiamolo di un movimento di un pacifismo esemplare. M’ha colpito questa sua bellezza dell’anima, dell’interiorità. Penso che il Dalai Lama, oltre che governare spiritualmente il suo popolo, sia veramente un grande e che abbia delle cose da insegnare a tutti.

Un ricordo di Augusto Daolio?

Sai, un ricordi di Augusto è come sminuirlo, renderlo piccolo. A me piace ricordare i miei 30 anni che ho vissuto con Augusto. Non siamo mai stati invidiosi, non abbiamo mai litigato ed è stato un sodalizio molto bello, perché siamo cresciuti e diventati adulti insieme, abbiamo scoperto il mondo insieme, abbiamo ottenuto il successo insieme senza mai cercarlo ad ogni costo. Questo è un bel ricordo di Augusto. Per me è stato un grande amico, leale e generoso.

So che nel tempo libero amava scrivere poesie e dipingere. Tu nel tempo libero cosa fai?

Io nel tempo libero sto con la famiglia (risata). Di tempo libero ne ho poco, perché sono sempre in giro a suonare, quindi quando sono libero da impegni, mi godo la famiglia. Ogni tanto amo andare nel bar di Novellara a giocare a carte con i vecchi amici, quelli di sempre. E’ vero che Augusto amava dipingere e scrivere poesie. Ho sempre detto che Augusto è morto giovane (45 anni, ndr.) come età anagrafica, però come vita vissuta era un uomo che aveva vissuto più di 70-80 anni, perché il suo tempo era oro, nel senso che lui lo impegnava continuamente nel dipingere, scrivere e curare i suoi hobby. Era una persona molto curiosa, nel senso che voleva apprendere un po’ da tutto quello che lo circondava.

Ho letto che sei Cavaliere della Repubblica.

Si! Nel 2005 sono stato nominato Cavaliere della Repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Sai in che giorno? Il 18 febbraio, il giorno del compleanno di Augusto Daolio. Che coincidenza.

In giro, fra i vari complessi, vede gli eredi dei Nomadi?

Io dico sempre che gli eredi saltano fuori quando uno non c’è più. I Nomadi ci sono ancora e quindi di eredi non se ne parla proprio (risata). Spero di non vederne ancora per un bel po’ (altra risata).