Claudio Gallo Golinelli (musicista)      Trento 13.5.2022

                                  Intervista di Gianfranco Gramola

“E’ importante il giudizio della stampa, del pubblico, però il più importante è il mio giudizio. Io so se ho suonato bene, se ho dato il massimo o se ho mancato qualcosa”

Io e Claudio Gallo Golinelli  

Claudio Golinelli è nato a Imola il 12 ottobre 1950. Ha frequentato dall’età di 12 anni il conservatorio e si è diplomato in contrabbasso. La sua carriera inizia nel 1969 all’interno del gruppo I baci, in cui suonava anche il chitarrista Jimmy Villotti. Dopo aver prestato servizio militare la sua carriera però ha una svolta. Entra infatti nella band italo americana degli Zebra Crossing, che gli permettono di partecipare anche a un tour europeo. Lavora quindi nella band di supporto a Gianna Nannini, e nel 1980 entra in contatto con Vasco Rossi, che gli propone di unirsi a lui. Inizia un sodalizio che non si interromperà praticamente mai. Il riff iniziale di basso di “Siamo solo noi” porta la sua firma. Non solo il Blasco. L’artista allarga i suoi confini e lavora anche con Ron e gli Stadio. Nel 1984 entra invece nella Steve Rogers Band, il gruppo che accompagna Vasco in quel periodo. Con questo gruppo fuori dagli schemi pubblica nel 1987 l’album “Alzati la gonna”, la cui title track diventa un vero tormentone nel 1988. Gli anni Novanta lo vedono dividersi tra i tour con Vasco e quelli con altri grandi nomi della nostra musica, come Adriano Celentano e Franco Battiato. Nel 2008 è costretto a interrompere i suoi tour per colpa di un tumore al fegato, però riesce a rimettersi nell’autunno del 2009. Torna così a lavorare con Vasco ed a fare  altri progetti, come il Gallo Team. Sulla vita privata di Claudio Golinelli si conosce poco. Sappiamo che da anni è sposato con Monia Donatini, cantante e sua fan, e che i due hanno una figlia, Sophia.

Intervista

Claudio “Gallo” è in un Hotel di Trento, in occasione del concerto di Vasco Rossi del 20 maggio 2022.

Cos’è per te la musica, Claudio?

Per me la musica è la vita. A 8 anni suonavo la batteria nell’orchestra di mio padre, poi sono entrato in conservatorio, a 12 anni, come contrabbassista, continuando a suonare anche la batteria e in quel periodo avevo fatto una piccola band per fare un po’ di musica beat. Quando si finiva di suonare gli altri chiudevano l’astuccio per metterci la chitarra, il basso e altri strumenti e andavano a ragazzine. Mentre loro andavano a ragazzine io stavo a mettere a posto la batteria e a smontare i piatti e allora mi son detto: “No alla batteria” e ho cambiato strumento e difatti al conservatorio facevo contrabbasso e ho preso in mano il basso e devo dire che la mia scelta è stata ottima.

Se tu non avessi fatto il musicista, cosa avresti fatto nella vita?

Io ho sempre pensato di suonare, perché mio padre aveva l’orchestra e io mentre lui faceva le prove, usavo le pentole come se fossero una batteria, per la dannazione di mia madre perché le rovinavo (risata). Se non avessi fatto il musicista, forse avrei fatto il meccanico, perché mi piacciono le macchine. 

Le doti di un buon musicista?

Vivere quello che fai, vivere ciò che suoni. Io ho sempre combattuto perché il basso fosse protagonista e difatti il primo lavoro che ho fatto per Vasco Rossi è stato “Siamo solo noi”, perché parte con il basso come  protagonista. Nelle vecchie orchestre il contrabbassista era sempre dietro, quello che si notava di meno. Ho sempre avuto questo desiderio di rendere protagonista questo strumento, ma non solo con Vasco Rossi, anche con la Gianna Nannini, Franco Battiato e con Adriano Celentano.

E’ stato bello suonare con Celentano?

Con Adriano è stato bellissimo, perché abbiamo suonato davanti a papa Wojtyla e la prima canzone è stata “Pregherò”. E’ stata una cosa meravigliosa. Quando ero bambino e andavo al luna park, c’era spesso la canzone “Pregherò” e io pensavo: “Chissà se prima o poi la suonerò questa canzone”. L’ho suonata con Adriano Celentano, davanti a papa Wojtyla, ti rendo conto?

Che tipo è Celentano?

Meraviglioso e un uomo di fede. Chi bestemmiava, andava a casa. A me ogni tanto  scappa un “ porco …” e  allora stavo molto attento. Lui mi vuole molto bene, come anche Gianna Nannini che mi ha scritto dopo il trapianto di fegato.

Hai avuto un trapianto di fegato?

Si, nel 2008 mi hanno trovato un tumore al fegato e mi avevano dato 4 mesi di vita. Dopo il trapianto, la Gianna Nannini mi ha scritto: “Sei sempre il mio Gallo rock” e ho pianto. Ma sono cose che fanno molto piacere. Io nella musica ho sempre dato il meglio di me stesso e questo è importante. Chi sceglie la strada della professione non può mancare a certi appuntamenti e io, ti dirò, ne ho avuti 5 importanti: con Eugenio Finardi, con Adriano Celentano, con Gianna Nannini, con Franco Battiato e con Vasco Rossi. Quindi 5 personaggi non male.

Eugenio Finardi, quello di “Musica Ribelle”?

Fantastico e grande personaggio. Dovessi sparire adesso o morire, sono contento di ciò che ho vissuto, sono molto soddisfatto delle persone che ho incontrato e delle mie scelte.

A proposito del soprannome “Gallo”, qual è il segreto del tuo successo con le donne? Cos’è, il fascino del musicista, la chiacchiera bonaria?

No, no, niente di tutto questo. Ho sempre pensato questo, che ogni donna ha una sua serratura e tu devi trovare la chiave giusta (risata). E chi mi ha messo il soprannome “gallo” secondo te? E’ stata la Nannini, perché le ho fatto fuori un bel po’ di amiche intorno. Lei mi ha detto: “Non sei mica Golinelli o Gallina, tu sei un Gallo” e lì è rimasto questo nomignolo (risata).  

Sei una persona che entra nel cuore della gente.

Si, mi vogliono tutti bene. Io sono così, non è che con te che mi fai l’intervista mi comporto in una maniera e con gli altri mi comporto diversamente. Io sono così oggi, domani e dopodomani. Sono una persona semplice.

Dopo una esibizione temi di più il giudizio del pubblico o della stampa?

E’ importante il giudizio della stampa, del pubblico, però il più importante è il mio giudizio. Io so se ho suonato bene, se ho dato il massimo o se ho mancato qualcosa. E’ il mio giudizio che mi fa più paura. Andare a letto contenti, sereni e soddisfatti,  quello è l’importante.

Qual è il primo comandamento di un musicista?

Essere se stessi, anche nella musica. Tu mi vedi così, come sono nella vita, lo sono anche sul palco. Sono genuino, non devo fare finta di essere chissà chi, sono come sono e so fare quello che so fare.

E lo fai bene.

Si, ma è merito del mio babbo che non c’è più purtroppo. Lui mi ha mandato al conservatorio a 12 anni, invece di fare il ragioniere come tanti ragazzi. Mi ha trasmesso la passione e lui ha visto in me che la musica era il mio mondo. Molte volte, prima di dormire, lo ringrazio e gli dico: “Ciao babbo”  gli voglio tanti bene ed è grazie a lui se ora sono qui (Claudio si commuove).

Prima di esibirti hai un rito scaramantico?

Per evitare di chiacchierare troppo, mi rifuggo nel gabinetto. Io vado lì con il mio basso, scaldo un po’ le dita e mi concentro così. Ho una cosa che mi indebolisce un po’, cioè se sbaglio nei primi 3 pezzi o sbaglio solo a mettere un dito, mi rovino il concerto. Quindi prima del concerto vado nel gabinetto con il mio basso e mi ripeto i primi 3 pezzi, così salgo sul palco concentrato al massimo.

Di cosa hai bisogno per essere felice?

Di avere l’appoggio di mia moglie, anche se sono un po’ geloso, perché ci tengo molto. Lei è la donna della mia vita, quella che è stata al mio fianco quando stavo male e poteva trovare altri divertimenti. Sono molto grato a lei.

L’ultima volta che hai pianto e perché?

L’altra sera, pensando agli affetti. Sono molto attaccato a mia moglie, a mia figlia e al mio gatto che si chiama “Pulci”, perché al negozio degli animali, dove l’ho preso, era pieno di pulci e allora l’abbiamo chiamato subito così. E’ un animale che amo molto, ma per me è come un essere umano, perché mi risponde.

A volte sono migliori degli esseri umani.

Non volevo dirlo, ma mi hai letto nel pensiero.

Hai mai pensato di scrivere un libro con tutte le tue esperienze e i tuoi incontri artistici?

Me lo dicono in tanti. Ho già il titolo “Tra alti e bassi”.

Hai una bella raccolta di bassi, vero?

Ne ho un casino, li tengo da quando avevo 14 anni e non li vendo. Ho ancora l’amplificatore con il quale ho iniziato. Ho la cantina piena e ho persino comprato un Marshall Major, che in Italia non ha mai venduto. Sono andato a Londra a prenderlo usato, l’ho trovato e l’ho caricato in treno e l’ho portato fino a Imola. Lo tengo davanti casa, di fianco alle scale e ogni tanto, quando passo davanti lo saluto e gli dico: “Ciao bello” (risata).

Un peccato di gola che ogni tanto ti concedi?

Sai che faccio tanti peccatucci di gola e siccome ho la glicemia alta, quando pecco, mi faccio la punturina. Ho il diabete mellito e a volte sono io che sono stronzo e faccio il furbo. La torta, la nutella, la marmellata e il miele che adoro. C’è un apicoltore a Imola che mi da quello di acacia che è buonissimo. Come dicevo prima mangio mezza torta e poi faccio la puntura, però questi peccati di gola ora li faccio raramente. Ho una certa età, anche se sono un po’ monello (risata).

La musica bisogna sentirla o anche capirla?

E’ indissolubile ciò che hai detto, cioè bisogna sentirla e anche capirla.

La musica può essere una forma di preghiera?

Ti dirò che in macchina ho qualche cd dei Beatles, un gruppo che amo e che ha sconvolto la mia vita. Quando uscirono “Please, please me” e “Love me do” mi hanno cambiato la visione del mondo, mi hanno aperto la testa e mi hanno reso monello nella musica, per fortuna.

Un tuo ricordo del conservatorio?

Mi ricordo che in conservatorio ci facevano fare le prove d’orchestra. Allora andai al comunale e mi dissero di accompagnare lo stopper e mi hanno dato lo spartito. Ad un certo momento, dopo l’inizio ci sono 36 misure d’aspetto, e devi guardare il maestro, come nella musica moderna,  però io alla ventesima mi addormentavo e lì ho capito che qualcosa non andava, che non era il tipo di musica che faceva per me.

Con Vasco Rossi non succede di addormentarti.

No, anzi. Lo conosco da 42 anni e quando mi incontra mi dice sempre affettuosamente: “Ma chi l’ammazza il Gallo”. Ci sentiamo fra un concerto e l’altro, fra una prova e l’altra. Dopo il trapianto del fegato, mi ha chiamato per sapere come stavo e pensare che non  l’avevo detto a nessuno dell’operazione. L’ha saputo tramite i giornali. Comunque noi ci troviamo sul palco e facciamo due chiacchiere  sull’esibizione e parliamo soprattutto di musica e gli chiedo come iniziamo e cose così. Per esempio, siccome l’altro bassista mi da una mano e ci alterniamo nel concerto, Vasco mi ha detto: “All’inizio fa qualcosa te, poi un assolo che rappresenti però anche certe cose che hai fatto per me”. E io faccio queste cose qui, poi suono insieme agli altri e a Vasco.

Le tue ambizioni?

Io ho una band favolosa che si chiama Gallo Team, dove c’è il batterista di Zucchero Adriano Molinari, poi l’ex tastierista degli Stadio Fabrizio Foschini che adesso vuole suonare solo  con me. Poi c’è il front men che si chiama Cristian “Cicci” Bagnoli, chitarrista, che adesso ha aperto il concerto di Zucchero con il cantautore Gheri all’Arena di Verona. Quindi ho alcuni bei personaggi nella mia band e ti dirò che arrivo a casa a fine giugno e riparto il giorno dopo perché abbiamo un luglio pieno di esibizioni. Si vede che piacciamo...

Un domani, come vorresti essere ricordato?

Come quello che ha vissuto per rendere il basso protagonista nella musica e che è stato un bravo musicista.   

Due parole su tuo padre.

Quando ero giovane, firmò il mio passaporto per andare in Inghilterra.

Per quale motivo sei andato in Inghilterra?

Avevo 17 anni e avevo conosciuto una ragazza inglese a Rimini. Ho cominciato a scriverle e dopo aver suonato tutta l’estate, dissi al babbo: “Voglio andare in Inghilterra a trovarla”. Lui mi firmò il passaporto per andare a Londra, perché una volta si usava il passaporto, non la carta d’identità come adesso.

E il conservatorio?

A 18 anni ero professore di contrabbasso. A quei tempi avevo i capelli lunghi e ogni tanto mi bocciavano (risata), c’era una mentalità diversa una volta. Tornando all’Inghilterra, ricordo che andai a sentire il complessino della scuola di questa ragazza e c’era il bassista che non sapeva suonare, muoveva solo un dito. Io ero già esperto e muovevo tutte le dita. Ma ho imparato molto da questo qui, che non sapeva suonare. Aveva un feeling pazzesco, anche se suonava con un dito solo. Bravissimo e ti dirò che mi ha aiutato molto, perché pensavo di suonare bene, invece questo qui è stata una bella lezione di umiltà che ho avuto.

Due parole su Franco Battiato?

Mi ha reso felice quando mi ha chiamato. Lui faceva della musica un po’ particolare all’inizio, poi fece la canzone “Sul ponte sventola bandiera bianca” e subito “Che bravo, è un genio”. Lui voleva il basso, la batteria, la chitarra e l’orchestra sinfonica. La base però la voleva rock. Mi chiamò e come tutti i geni che sono tutti pazzi, disse:  “Niente prove”. Mi mandò un pacco con gli spartiti e con la scaletta. Primo concerto al comunale di Brescia. Lui arriva e ci porta un cabaret di dolcetti siciliani. Noi tutti contenti e lui disse: “Ragazzi, vi ho portato le paste perché non andate a mangiare, perché stasera vorrei iniziare il concerto con un pezzo nuovo, senza prove”. Ci ha dato il cd a me e al chitarrista e insieme abbiamo fatto due prove in poco tempo. Un genio. Era un pezzo che gli era venuto in mente così.

I geni sono così e a volte le cose improvvisate sono quelle che vengono meglio.

Bravo, lo stavo per dire io e difatti il pezzo venne benissimo, perché l’adrenalina, il fatto di fare un pezzo nuovo e anche il fatto di aver mangiato i pasticcini siciliani che lui ci aveva portato (risata) ci hanno aiutato molto.