Letizia Dei (soprano)                           Firenze 13.3.2024

                          Intervista di Gianfranco Gramola

“Non è presunzione ma penso che i peggiori critici siamo noi stessi e quindi io sono terribile con me stessa. Un mio  amico mi ha detto che è evidente che sono più in competizione con me stessa che con tutto il resto”

Il sito ufficiale è www.letiziadei.it   email deiletizia@gmail.com

(breve bio/curriculum tratto dal sito ufficiale)

Letizia Dei è un soprano fiorentino, di formazione classica. Inizia gli studi musicali alla Scuola di Musica di Fiesole poi al Conservatorio di Musica Luigi Cherubini di Firenze dove consegue il diploma in canto sotto la guida della Maestra Marta Taddei. Si perfeziona con i maestri Bruno Rigacci e Alessandra Althoff Pugliese. Frequenta quindi i corsi del Mozarteum di Salisburgo, dell’Accademia di Alto Perfezionamento Cà Zenobio di Treviso, il Cantiere Lirico di Livorno e il Maggio Formazione di Firenze. Letizia Dei ha al proprio attivo numerose rappresentazioni del repertorio operistico tradizionale. Fra queste, in particolare: Cherubino, Zerlina e Dorabella nella trilogia Mozart-Da Ponte, Nedda in Pagliacci di Leoncavallo, Nella in Gianni Schicchi di Puccini. Ha cantato inoltre in vari recital operistici, interpretando le Arie tratte da alcune delle più famose opere, accompagnata per l’occasione da vari Maestri.  Ha partecipato a due World Première di International Opera Theatre di Philadelphia. In particolare ha partecipato come protagonista alla messa in scena di “Buffalo Soldiers”, opera lirica ispirata alle vicende delle truppe afro-americane che combatterono in Italia nel secondo conflitto mondiale. Sempre all’estero, Letizia Dei è stata invitata dalla Harding University di Searcy, in Arkansas, a tenere concerti in America e in Inghilterra. Collabora da sei anni con Italian Opera Florence, del Maestro David Boldrini, interpretando regolarmente numerosi recital operistici ed opere, anche originali. Dal 2004 è docente di canto presso l’Athenaeum Musicale di Firenze, per conto del quale dirige il Light Gospel Choir. Negli ultimi anni ha ampliato il proprio interesse ad altre forme di canto, oltre quella lirica, iniziando un percorso che si può definire “crossover”, fatto di studio, ricerca e proposte attraverso generi diversi. Il suo interesse si è rivolto prima alla musica gospel, attraverso la direzione, ormai decennale, del Light Gospel Choir di Firenze. Muovendosi quindi in una direzione ancora diversa, nel 2015 Letizia ha prodotto e portato sul palcoscenico, accompagnata dal quartetto d’archi Quartetto Aphrodite, The Juliet Letters, opera del cantautore britannico Elvis Costello. Un’opera originariamente cantata dal suo autore, con voce pop, accompagnato dal Brodsky Quartet, e riproposta da Letizia Dei con voce lirica ed accompagnamento del quartetto d’archi in chiave più pop. Attualmente sta portando avanti progetti diversi che vedono un’incursione più profonda nel mondo pop e parallelamente l’approfondimento di un repertorio sempre classico ma meno rappresentato e conosciuto. Fra le recenti produzioni troviamo i Seven Sonnets of Michelangelo Op. 22 di Benjamin Britten e altri autori del Novecento, quali Weil, Gershwin, Berg, Schönberg, Bernstein. Da molti anni si interessa anche di musica colta, popolare e folk, costruendo un repertorio ricercato che va da quello napoletano, a quello francese ed italiano popolare degli anni ’20 e ’30 e alla musica colta del ‘900.

Intervista

Mi racconti del tuo nuovo album che è uscito il 12 marzo dal titolo “Forever Changed”?

“Forever Changed” è un vero e proprio concept. Ho cominciato a pensarci dal 2015 in poi perché ho cominciato a sentire alcuni pezzi del disco di Lou Reed “Song for Drella”, poi in realtà la cosa l’ho lasciata un po’ lì perché ci sono state delle  vicissitudini della vita, cose di cui occuparsi, situazioni e quindi il progetto è rimasto nel cassetto. Poi  un paio di anni fa ho deciso che mi sarei prodotta questo disco per togliermi una soddisfazione. In realtà sono una cantante lirica e faccio molto altro a livello musicale. Di consuetudine canto musica lirica, mi occupo di gospel e dirigo dei cori qui a Firenze. Però l’idea secondo me era vincente perché alla fine quello che volevo fare era ricreare una specie di concept che parlasse di un processo creativo. Quindi di un’esperienza artistica dall’inizio a quando alla fine che l’hai compiuta puoi dire di essere cambiata per sempre perché comunque quel piccolo grande tratto di strada che fai ha anche a che fare con una vera e propria rivoluzione interiore, attraverso la quale si impara e si diventa tanto altro. Il disco racconta questo e lo fa coverizzando questo disco degli anni ’90 di Lou Reed che si chiama “Song for Drella”, dedicato alla vita di Andy Wharol, che è morto negli anni ’80 e gli amici di una vita gli dedicano questo tributo e lo fanno parlando di questo personaggio dagli inizi della sua carriera artistica ricordandolo fino alla morte. Io ho semplicemente rimescolato delle tracce che sono dentro questo disco e ho inserito alcune altre canzoni di Lou Reed, nate idealmente all’interno della factory e le ho rimesse insieme dentro a questa specie di percorso immaginario che è poi “Forever Changed”.

Parliamo della tua carriera. Com’è nata la folgorazione per la lirica? Hai cantanti in famiglia?

Nessun cantante in famiglia. Diciamo che canto da quando ho 4 anni, poi in età adulta ho cominciato a cantare gospel in un coro qui a Firenze, nella chiesa americana e ho cominciato ad interessarmi di come si facesse perché mi interessava la parte tecnica e l’impostazione della voce e capirci qualcosa in più. Ero già in conservatorio perché stavo seguendo il percorso per prendere il diploma di canto e già che c’ero ho pensato di approfittarne e provare come cantante di gospel. Ho fatto l’audizione senza crederci molto ma per fortuna qualcuno mi ha dato fiducia e allora ho iniziato a fare anche quest’altro percorso per me molto importante dal punto di vista di studio musicale. La scelta era interessante perché sentivo che quel mondo mi apparteneva e che mi riusciva a fare bene. Poi dal conservatorio di Firenze mi sono spostata a studiare a Venezia da un insegnante che insegnava anche al Mozarteum e poi mi sono fatta vari master e non ho più smesso. Tra opere liriche e concerti è sempre stato quello il mio ambito da 25 anni a questa parte.

Con quali miti della lirica sei cresciuta? Chi sono stati i tuoi idoli di riferimento?

Se ti devo dire una delle cantanti che mi piace di più e che continuo ad avere come riferimento e che mi ha impressionato come impostazione della voce ti dico Kiri Te Kanawa, perché ha cantato tantissimo del repertorio mozartiano, che anch’io uso tanto. Poi devo dire che mi piace molto anche Mariella Devia, l’ho sempre adorata. E’ stata una grandissima cantante dell’ultima generazione. Poi nel passato ci sono dei miti come Renata Tebaldi, Jessye Norman e la divina Maria Callas, tutte voci incredibili.

Quante ore al giorno dedichi alla musica?

Adesso studio meno di quanto vorrei perché insegno canto moderno e canto lirico e quindi mi dedico all’insegnamento durante la settimana. Ho tantissimi allievi e dirigo anche un coro di gospel e insegno la tecnica vocale. Per cui diciamo che lo studio che devo fare sulle mie cose, sui miei repertori sono un po’ ridotte rispetto a prima, però durante il giorno qualche ora da dedicare alla voce non me le leva nessuno. Mi piacerebbe avere più spazio per le mie cose ma se è necessario riesco a ritagliarmi del tempo.

Riascolti le tue esibizioni? Sei molto autocritica?

Lo sono tantissimo e per tanti anni ho avuto difficoltà a sentirmi registrata, come tutti penso. Quello è proprio uno step per il quale secondo me bisognerebbe fare un altro tipo di studio perché il lavoro di registrazione è proprio un’altra cosa. Però adesso  decisamente faccio meno fatica a riascoltarmi, anzi penso che sia uno strumento importantissimo e funziona sotto tanti aspetti. Non sempre mi piaccio, per esempio ho avuto un po’ di resistenza a riascoltare questo ultimo disco perché c’è stata una fase di lavoro molto importante perché un conto è se devo registrare un repertorio lirico come ho fatto fino adesso, che ho diversi dischi da camera all’attivo e un conto se devo registrare qualcosa che va in un ambito che non conosco a pieno, perché ho registrato una voce che non è solo impostata e quindi si può lavorare in tanti modi diversi. Ho avuto un po’ di resistenza a riascoltare il disco perché avevo veramente paura di sentire cosa era venuto fuori, nell’idea di riconoscermi o meno, invece devo dire che sono piuttosto soddisfatta e contenta di quello che è uscito.

Dopo una esibizione temi più il giudizio del pubblico o della critica?

Cerco di non temere nessuno dei due facendo un buon lavoro. Negli anni ho avuto il piacere di esibirmi spesso e diciamo che acchiappare il pubblico è anche un fatto di mestiere e poi difficilmente ho avuto critiche negative dopo una esibizione. La critica è relativa nel senso che se è  costruttiva, ben venga. Non è presunzione ma penso che i peggiori critici siamo noi stessi e quindi io sono terribile con me stessa. Un mio  amico mi ha detto che è evidente che sono più in competizione con me stessa  che con tutto il resto (risata).

Quali sono le tue ambizioni?

Vorrei continuare a fare bene quello che sto facendo. Il successo alla fine è una cosa che si è fatta succedere, come ha detto un altro amico mio (risata). Va e viene ma è abbastanza relativo. Mi piacerebbe essere sempre in comfort con me stessa, rispetto a quello che faccio, sapermi dare il tempo e lo spazio per fare bene quello che la mia creatività mi stimola. A volte la mia ambizione è forse questa, cioè di riuscire sempre di più ad ascoltare me stessa e concretizzare quello che all’inizio parte come un’idea.

Quali arie preferisci? Puccini, Mozart, Verdi?

Sicuramente quella di Mozart e di Giacomo Puccini.

Con la lirica hai cantato anche all’estero. Qual è il pubblico più attento, quello che ti ha dato più soddisfazione?

Sicuramente quando si portano i brand italiano all’estero è tutto un po’ più semplice.  C’è comunque la magia del cantante lirico italiano. La platea americana è sicuramente una platea molto più accogliente e ti senti come se al pubblico tu facessi una magia, un incantesimo. Loro sono molto pronti e preparati ad ascoltarti, a sentirti, ad accogliere quello che tu fai. In Italia è un po’ più difficile anche perché, non voglio essere tranchant, ma chi va ad ascoltare un concerto di musica che si fa in Italia ha un interesse e anche una consapevolezza in quell’ascolto sicuramente alta. Però forse ha persa l’idea appunto del miracolo della voce, invece devo dire che all’estero è più ambito, più aspettato. Il cantante italiano che canta un’aria di Puccini è una cosa che merita ascolto e merita anche un certo tipo di clemenza, di indulgenza secondo me perché non sempre si sentono delle belle cose dall’altra parte del mondo. Sicuramente ti da tanta soddisfazione soprattutto se pensi di aver fatto un buon lavoro e se vedi che arrivi a creare e a trasmettere delle emozioni. Noi italiani siamo un po’ più critici in generale ma questo fa parte della nostra cultura.

Ad un giovane che si avvicina alla lirica, che consigli vorresti dare?

Di studiare tanto, lo studio della voce è un training fantastico perché ti mette in connessione con te stesso in maniera molto profonda. Quindi studiare e non adagiarsi mai sul proprio suono, ma lavorarci sempre perché possa essere sempre fresco, versatile, eclettico e pronto ad essere un qualcosa che serve per comunicare. Siamo uno strumento, non siamo solo un miracolo di cui parlavo prima. Io poi vengo da un percorso di studio per cui quando sono entrata in conservatorio mi è stata data fiducia ma non è che avevo una voce fatta. Sapevo cantare ma non sapevo cantare musica lirica, quindi ho dovuto veramente studiare e non sempre i tempi che io auspicavo ci volessero per arrivare ad un obiettivo, sono stati tempi reali, ma addirittura si sono allungati. Altro consiglio è quello di non essere impaziente ma dare al proprio corpo, alla propria testa e alla propria voce lo spazio e il tempo necessario per svilupparsi e suonare e risuonare pienamente.