Maria Luisa Ljuba Rizzoli                                    Montecarlo 3.2.2023

                               Intervista di Gianfranco Gramola

“Ljuba Rosa Rizzoli, una delle donne più belle e corteggiate, racconta nel suo libro la sua vita immersa nel jet set internazionale, fra immense ricchezze, tavoli da gioco, brillanti da 26 carati e il dolore immenso per la perdita della figlia Isabella”

“Marina Cicogna? E’ la mia amica numero uno. Anche se ci sentiamo al telefono tutti i giorni, mi manca molto perché è una donna meravigliosa, unica”

Maria Luisa Ljuba è nata a Milano nel 1932, da papà Pierino e mamma Zaira Paradiso. Maria Luisa lavora con i fratelli nella fabbrica di famiglia, quella dei Trapani Rosa. Durante la Guerra Ljuba Rosa vive da sfollata a Varzi, in provincia di Pavia. Bellissima, nel 1950 entra per caso nell’atelier della prima casa haute couture di Milano, quella di Jole Veneziani dove comincia le prime sfilate. Il destino le riserva tanti incontri che la porteranno, molti anni dopo, a diventare la moglie di Andrea Rizzoli. Oggi vive a Montecarlo.

Intervista

Nel 2017 ha dato alle stampe il libro “Io brillo”. Per lei scriverlo è stato uno sfogo, un’esigenza personale?

In casa, essendo i Rizzoli degli editori, avevano sempre come ospiti dei giornalisti, degli scrittori, come Biagi, Montanelli, Mosca, la Fallaci e mi consigliavano come terapia per quando mi annoiavo a bordo piscina o sul dondolo, di prendere un quaderno e scriverci sopra qualunque cosa. Io scrivevo ricordi, aneddoti, incontri e quello che in quei momenti mi passava per la mente. La morte di mia figlia Isabella mi ha distrutto e per me la vita era finita perché mi dicevo: “Come mai vivo io e non lei”. E’ drammatica, è terribile, è dolorosa la morte di una figlia, non si ha più la forza di tornare a galla e allora lì, come terapia, mi sono messa a scrivere anche se poi non volevo mai pubblicare un bel niente perché non volevo dare in pasto alla gente tutti i miei drammi, i dispiaceri. Poi però mi hanno consigliato di pubblicarlo e allora mi sono fatta aiutare dalla scrittrice Tiziana Sabbadini e così ho dato alle stampe questo libro che è un po’ un mosaico. Ora ne sto facendo un altro un po’ più importante che uscirà dopo Pasqua.

Lei da ragazza voleva fare l’attrice, vero?

Si sono cresciuta con il mito di Rita Hayworth. Io ero una ragazza che non passava inosservata, una fanciulla in fiore, gambe lunghe, occhi da cerbiatta, vita stretta, un seno generoso che fasciavo per non dare troppo nell’occhio. La gente mi guardava, faceva battute, fischi e diceva: “Beato chi ti avrà”. A quei tempi abitavo in piazza Tricolore a Milano e la fotografa Chiara Samugheo, che voleva introdurmi  nel mondo del cinema, siamo andate al festival del cinema di Venezia e lì ho incontrato Alberto Lattuada che mi disse: “Lei va bene nel cinema, la vedo come la nuova Sofia Loren di Milano. Le faccio avere un appuntamento con Ponti e De Laurentiis che sono i produttori”. Io ho portato con me un soggetto cinematografico che mi aveva dato il vigile, Argo, e loro, dopo avermi scrutata per bene, mi dissero: “Ma quale soggetto, lei deve fare del cinema” e mi hanno invitata a fare un provino. Il loro ufficio era fuori Roma e dovevo tornare a Roma dove c’era mio padre che era gelosissimo di me e che mi aspettava all’hotel Excelsior di via Veneto. De Laurentiis mi disse. “Ti porto in centro, da tuo padre. Hai già visto il Vaticano?” e con l’auto ha fatto un giretto intorno a piazza San Pietro e poi dritto al Grand Hotel. Mi chiese: “Perché non passi la notte con me?” ma io mi inventai una scusa e scappai via a piedi. Più avanti, quando io ero  sposata con Andrea Rizzoli, incontrai De Laurentiis con sua moglie Silvana Mangano e gli ho detto: “Ti sei comportato male quella volta, mascalzone”. E lui ha risposto: “Va meglio così, però potevi fare cinema”. Questo l’ho raccontato anche a Silvana Mangano e lei ha detto: “Ma che sporcaccione”. Chi mi voleva assolutamente era Lattuada che quando mi vedeva si mordeva le dita e io a dire la verità ci tenevo a fare l’attrice e avevo il padre di Andrea, Angelo il “cummenda”, che produceva film. Lui era nato povero e diventò editore grazie alla sua intelligenza e alla sua genialità ed è riuscito a crearsi un impero e faceva cinema per passione, per hobby perché gli piaceva l’ambiente del cinema e quando ho avuto la bambina ha detto a suo figlio Andrea, mio marito: “Ljuba deve assolutamente fare del cinema”. Tornavamo da New York dove avevamo presentato “La dolce vita”. Angelo disse: “Adesso Andrea, Ljuba si annoierà a casa, è giovane, è bella, inoltre ama il cinema”. Mio suocero e Andrea hanno discusso parecchio e si sono anche arrabbiati e mio marito alla fine ha detto: “No, Ljuba farà la donna di casa”.

Maria Luisa Ljuba Rizzoli con Marta Marzotto

Lei è stata una donna molto corteggiata. La bellezza per lei è stata più un vantaggio o uno svantaggio?

Se devo metterla sulla bilancia devo dire che è stata più uno svantaggio. Se posso dare un consiglio, è meglio sposare gente normale, perché i grandi uomini, i grandi imperi sono sempre “kidnapping” (a rischio rapimenti). Io mi ricordo che ci buttavano i bigliettini con scritto: “I prossimi siete voi”, erano delle brigate rosse e avevo la bambina e tanta paura che la rapissero. Ho sempre vissuto con le guardie del corpo, anche quando ero in Francia.

Suo marito Andrea Rizzoli, come l’ha conquistata?

Io sono stata sposata 25 anni con Andrea Rizzoli. L’ho conosciuto sul trenino che portava a Cortina D’Ampezzo ed è la persona che ho adorato di più al mondo. E’ morto nell’83 ma lo sogno, gli parlo e lo vedo come se fosse qui. Andrea era un uomo di una bontà unica, di una saggezza unica, aveva un senso dell’humor ed era molto premuroso. Non era bellissimo, io odio i bellissimi, ma in verità una persona come Andrea è introvabile. Una persona così altruista e generosa. La famiglia Rizzoli è sempre stata stupenda in tutti i sensi, una famiglia di puri, veri, sempre gentili, sempre adorabili e generosissimi. Poi mi sono trovata in una giungla, come sono adesso.  

Fra le varie follie, c’è quella del gioco. Lei ha più vinto o perso?

Devo dire che ero abbastanza fortunata. Il petroliere Ettore Tagliabue, il mio primo marito, mi ha portata a vivere le emozioni più forti, quelle della roulette, perché lui giocava e io ho preso il vizio da lui. Però Andrea Rizzoli e il padre giocavano così, per fare un break, una pausa al cervello, per rilassarsi un po’ e per loro il gioco era considerato un divertimento snob. Giocavano un po’ per giocare, non si può pensare di giocare per vincere. Uno gioca perché vuole sfidare il gioco, ma non esiste. Io ho fatto delle grandi vincite e ne ho fatta una dove ho vinto 24 milioni di franchi francesi perché era venuto 5 volte il numero 5. Giocando questo numero avevo vinto così tanto e ci avevo preso gusto e pensavo di volermi far interdire perché impazzivo per il gioco quando andavo a Beaulieu per i cavalli con Tagliabue, e lì c’era Omar Sharif che giocava molto e mio marito mi diceva che giocavo troppo forte e io: “Cosa vuoi,  giocare il minimo non mi piace, non mi diverte” e così ho preso il vizio del gioco. Però devo dire che non è tutto negativo anche se non è un esempio di vita, per carità. Perché giocano questi potenti? Per una sfida? Perché non è che devono realizzarsi e devono vincere. Mi ricordo che Churchill diceva: “Prima della guerra ho lasciato un debito a Montecarlo e dopo che ho vinto la guerra, sono tornato a Montecarlo di nuovo per giocare, ma non ho mai vinto e non hanno voluto che pagassi il mio debito. E’ mai possibile che vinco la guerra e non vinco al casinò?”. Diventava pazzo a questa domanda. Al casinò non si può vincere, bisogna andarci se ci sono i soldi e il piacere di giocare. Se lei Gianfranco si mette all'entrata del casinò e vede la gente che entra, sono tutti felici e sorridenti. All'uscita però sono tutti con la testa bassa, tristi e afflitti. Da questo si capisce che si vince molto poco. Io ad esempio vado al casinò, punto sul 29, vinco e poi scappo via, però il piacere dura dieci minuti. Un giorno ho incontrato il tennista Nicola Pietrangeli perché c'era un torneo di tennis a Montecarlo e mi disse: "Sai, io da otto giorni faccio il rappresentante della Lancia. Dovrei far vedere che vendo subito delle auto". Io  dico: "Non è così difficile. Vieni, andiamo al casinò.  Prendiamo il numero e con i soldi che vinco, prendo la Lancia". Allora ho giocato il 29 e ho avuto la fortuna di vincere. Lui era impazzito dalla gioia. Questo per dire che nel gioco, oltre al piacere, c'è anche la fortuna e questa Lancia è dovuta proprio a quel colpo di "change au jeu" (fortuna al gioco).

Perché è finita la storia con Ettore Tagliabue?

E' finita perché mi ha tradito e io questo non lo sopportavo. Ci volevamo bene, eravamo sempre mano nella mano, uno di quei amori veri, puri, bellissimi, con lui ho vissuto come in un sogno, una vita incredibile tra la caccia con i grandi della terra, con i migliori fucili d'Europa, gli Holland & Holland. Inoltre Tagliabue aveva 300 cavalli e andavamo a tutti i Grand Prix, a San Siro, a Le Capannelle, abbiamo vinto l'Arc de Triomphe, a Deauville, poi a Merano, ecc... perché aveva dei cavalli fantastici e faceva "le monte" con il grande Ribot. Ho vissuto otto anni con Ettore fra cavalli e caccia.

Mi racconta la sua grande amicizia con Marina Cicogna?

Quando Ettore Tagliabue mi ha tradita, io sono stata così male che sono finita al neurologico, a Milano, e ho fatto la cura del sonno e quando sono uscita da questa cura, la mia amica l'attrice Lea Padovani, mi ha voluta con lei per andare a Cortina D'Ampezzo e lì ho incontrato Marina Cicogna. Uscivamo insieme e lei mi ha aiutato molto a superare i miei problemi. Io con Tagliabue ho conosciuto il mondo intero, ma Marina è una donna nata con una classe infinita, bella, intelligente, elegante e poi conosceva veramente tutto il mondo. Lei poteva andare a Buckingham Palace ed ovunque avesse voluto. Io le voglio un bene da morire, ha una  classe unica e io potevo solo assorbire e imparare da lei. Poi andavo a Venezia a casa sua, quando c'era il festival, la coppa Volpi in questa casa bellissima, vicino alla basilica della Salute. Sono diventata  sua amica da quel primo incontro a Cortina e ci chiamiamo ancora adesso tutti i giorni. L'amicizia dura da sempre, da più di 50 anni e fra noi c'è un sentimento d'amore che ci lega.

Che ruolo hanno avuto nella sua vita i gioielli, i "brilli"?

La mia famiglia mi ha sempre viziata e io ho amato sempre i gioielli e i gioiellini. Poi quando è iniziata la storia con Ettore Tagliabue ho avuto il primo "brillo" importante, di 24 carati, era bianco e blu. Quando me l’ha messo al dito ero emozionatissima e tremavo tutta. La gente diceva: "Guarda che tu avrai il rispetto del mondo intero, con questo anello". Da quel dì ho avuto tantissimi brilli, più di 50 e di tutte le taglie, ma ho sempre adorato i gioielli, anche quelli piccoli. Anche mia figlia Isabella aveva i suoi piccoli brilli e li riceveva alla comunione, alla cresima e ai compleanni. Ad ogni ricorrenza dicevo: "Regalatele un brillo, piccolo o grande che sia, ma non buttate i soldi per altre cose". Isabellina aveva un cofanetto rosso pieno di brilli.

Com'è il suo rapporto con la Fede?

Io credo, però  delle volte quando vedo bambini che soffrono, delle scuole bombardate, delle  brutte malattie e ingiustizie varie, allora comincio un po' a pensare e mi vengono dei dubbi. Ora che ho una certa età, penso: "Sarà quel che sarà". Un giorno che ero molto a terra, mi è apparsa mia figlia in una nuvola. Ho visto Isabellina che aveva preso degli anni, avrà avuto 40 anni, che mi sorrideva, rideva e questa apparizione mi ha turbato moltissimo. Poi vivo molto con lei e dico sempre che se lei mi chiama è perché l'ha voluto.

Un domani, come vorrebbe essere ricordata dalle persone che le vogliono bene?

Io già mi stupisco di me stessa, di essere così conosciuta, perché io mi sento una persona normale, molto buona e molto altruista. Sono molto generosa e ho fatto donazioni ad enti che però non erano seri. Era meglio se aiutavo delle persone nell'immediato. Quindi vorrei essere ricordata come una brava persona. Anche se ho conosciuto il mondo intero e ho incontrato persone importanti, politici, scrittori, attori, artisti, capi di stato non è che mi hanno cambiato la vita. E' l'ambiente dove vivi che ti obbliga a  conoscere e frequentare gente importante, ci si conosce e se tutto va bene, diventeranno buone conoscenze. E' un mondo tutto effimero, tutto superficiale. La persona a me più cara è Marina Cicogna, che è la mia amica numero uno. Anche se ci sentiamo al telefono tutti i giorni, mi manca molto perché è una donna meravigliosa, unica.