Sergio Vastano (attore comico)        Andalo (Trento) 12.9.2019

                   Intervista e foto di Gianfranco Gramola

La cosa brutta è non essere compreso per quello che sei, dalle persone che credevi molto amiche.

 

Gianfranco Gramola con Sergio Vastano 

Biografia tratta dal sito ufficiale www.sergiovastano.com

Sergio Vastano nasce a Roma il 20 dicembre del 1952. Il grande pubblico televisivo ha conosciuto Vastano come cabarettista: incontra Re Mida-Antonio Ricci nel 1985, che lo fa entrare nel cast di "Drive in", considerato uno dei programmi rivoluzionari della comicità televisiva. Di Sergio Vastano si ricordano personaggi come il bocconiano calabrese, il top manager, l'impresario cialtrone...  Sempre per volontà di Ricci lavora per "Striscia la notizia", prima come inviato speciale, indossando i panni di Gianfranco Funari, di Lech Walesa e di Boris Eltsin, quindi diviene conduttore della trasmissione e colleziona più di trecento presenze insieme a Teo Teocoli, Gino Bartali e Maurizio Ferrini. Sempre in tv figura nel cast di altri programmi come "Paperissima", "Il gioco dei nove", "I Cervelloni" e "Festivalbar". E "Festivalbar" non è l'unica kermesse musicale alla quale partecipa: si fa notare pure sul palco del festival musicale per eccellenza, e cioè quello di Sanremo nel 1988, con il gruppo Figli di Bubba, formato da illustri musicisti e cantanti tra cui anche Mauro Pagani, Franz Di Cioccio e Gianfranco Manfredi. La band prese il nome da Giorgio Bubba, giornalista televisivo sportivo noto per le sue cronache da Genova all'interno della trasmissione "90° Minuto". Il brano che interpretarono era una canzone comico-demenziale era intitolata Nella valle dei Timbales. Dopo il Festival pubblicarono anche un album intitolato Essi. Ma Sergio Vastano è attore di teatro e di cinema. In teatro lavora in diverse compagnie, tra le quali quelle di Lucia Poli, e di Giancarlo Zanetti e Andrea Giordana. Al cinema recita in commedie all'italiana, come "Al bar dello sport" di Massaro, "Yuppies" e "Le finte bionde" dei fratelli Vanzina, "Night Club" di Sergio Corbucci... Ha scritto, insieme a Enzo Braschi - collega cabarettista ed esperto di cultura pellerossa -, il libro "M'è preso un accipicchia" - Baldini e Castoldi.

Intervista

Ho letto che hai iniziato lavorando con le compagnie di Paoli, Zanetti e Giordana, quindi con il teatro serio.

Ero ragazzino ed ero un attore di bottega. Con Zanetti e Giordana dovevo fare Zeus giovane nell’Anfitrione di Plauto. Loro erano già allora dei grandi attori e io ero un ragazzino alle prime armi. Zanetti e Giordana mi hanno insegnato molte cose, come ad esempio non toccare, certe volte, i capo comici. Siccome Giordana era un capo comico, allora la disciplina era che per chi sbagliava in scena o diceva una parola per l’altra, erano guai. Non c’era tanta elasticità, Gianfranco. Quindi avevi il timore di dire una parola per l’altra, perché avresti pagato le conseguenze. E’ successo che in scena dissi “babbo” al posto di “padre” e ci fu una mezza risata, fra l’altro, perché ho marcato sulla doppia “b”, gonfiando un po’ le gote, come faceva Totò. Subito dopo le spettacolo Giordana fece una riunione di compagnia. Questa riunione era solo perché ho detto babbo al posto di padre. E’ stata una scuola quella lì, caro Gianfranco. Adesso stiamo quasi all’opposto, perché purtroppo ci sono poche prove, perché anche fare le prove costa.

Al pubblico piace molto il gossip, il pettegolezzo e gli scandali. Come te lo spieghi?

Quello che ti raccontano in televisione la prendi per buona, vedi il caso Pamela Prati, ecc … Ci sono delle trasmissioni adeguate dove raccontare queste cose qui. Adesso la discarica televisiva acconsente che certe cose che prima non si potevano neanche pensare, di andare non soltanto in onda, ma possono dare la  possibilità di parlarne per decine e decine di giorni. Il pubblico si prende quello che gli dai, perché è senza testa. Accendono la televisione, non voglio fare nomi, perché si sa chi è che fa questo tipo di tv, e certe volte si cavalcano queste tigri apposta, perché al pubblico piacciono come dici tu i pettegolezzi, le corna e le litigate. La televisione è diventata molto bassa come livello. Poi c’è anche chi in tv fa delle cose egregie, non parlo delle generaliste, anche se io c’ho lavorato per 15 anni in prima serata, fra Mediaset e Rai.

La passione per lo spettacolo com’è nata, Sergio?

E’ nata per caso, perché io intrattenevo fin da quando avevo 13 anni, suonando la chitarra. Poi a 14 anni facevo parte di una “commitiva” (detta in romanesco) e il venerdì sera, il sabato e la domenica, si andava nella cantina a casa di qualcuno, con i pasticcini e la coca cola a ballare i 45 giri. A me piaceva molto ridere, scherzare, chiacchierare e gli amici mi apprezzavano e a volte dicevano: “C’è Sergio? Perché se non c’è, non vengo”. In poche parole ero portato per fare l’intrattenitore. Poi ho cominciato a fare l’università e ho passato 4 anni meravigliosi al teatro Ateneo di Roma. L’importanza per me del teatro Ateneo è stata quella di incontrare dei numi che non avrei mai incontrato in vita mia, tipo Eduardo De Filippo che ho conosciuto lì e che poi ho fatto con lui “L’artefice magico”, una farsa di Eduardo. Incontrai pure un aiuto di Bertolt Brecht e anche una compagnia giapponese fantastica. Ho incontrato tutti i tipi di teatro possibili che poi mi sono serviti per la mia formazione teatrale. Poi ho fatto anche dei piccoli lavori. Andy Luotto, che conoscevo da poco,  con cui ho lavorato per le allora nascenti televisioni locali, disse ad Antonio Ricci: “Conosco un amico molto bravo che fa il calabrese e che ti fa pisciare dalle risate”. Il caso ha voluto che quell’anno Antonio Ricci cominciava a fare Drive In, una trasmissione su cui nessuno scommetteva un centesimo. Tu pensa il primo anno di Drive In, eravamo su Italia1, la domenica sera con degli sconosciuti, perché eravamo io, Zuzzurro e Gaspare, Pistarino, Enzo Braschi, i Tre Tre e tanti altri. Puntare su questa nuova generazione di comici ne è valsa la pena, perché la trasmissione ha fatto degli ascolti incredibili.

Il lavoro dell’artista si sa che è precario. Hai mai pensato ad un piano B, nel caso andasse male come comico?

La precarietà fa parte di questo lavoro, caro Gianfranco ed è quello che ti dà la spinta. Anche se poi il 95 % delle persone che fa questo tipo di lavoro, non riuscirà mai a sfondare, ad essere famoso, però non cambierà mai perché è insito di chi fa questo lavoro, il credersi un’artista, e credere che abbia qualcosa da dire, da raccontare. Prima di fare il comico lavoravo in un albergo e facevo l’università. Quando ho smesso di lavorare in albergo per via  di una delle crisi italiane, ho cominciato a fare come tutti, cioè facendo provini su provini. Ho cominciato come attore, come regista, ho fatto il pittore con Remo Remotti, che è andato via all’età di 91 anni, fino ad arrivare a Drive In, una bella storia di 33 anni fa. Pensa tu quanto la televisione sia potente in questo senso, perché a distanza di 33 anni  tutti quanti mi dicono che Drive In è irripetibile, una trasmissione mitica.

Ora a cosa stai lavorando?

Ho fatto la corte a Gianfranco D’Angelo per 30 anni, la colonna di Drive In. Con Gianfranco abbiamo messo su uno spettacolo teatrale. Siamo io, lui e un pianista e ci raccontiamo e raccontiamo un po’ ridendo e un po’ piangendo questi 35 anni che abbiamo vissuto insieme. Si chiama “Eravamo 3 amici al bar”. Sono tre amici che si incontrano in un bar, perché stanno aspettando un quarto amico, un amico che non arriverà mai, un po’ come “Aspettando Godot” di Samuel Bechett. Poi sapendo suonare e ballare, faccio anche delle serate che mi divertono molto, suonando jazz e blues con Gigi Cifarelli, un grande chitarrista italiano. 

Fra colleghi hai trovato più complicità o rivalità?

Di questo me ne sono sempre fregato. Io non sono un tipo competitivo, quindi non trovo nessuna rivalità. Conosco invece tanta gente che sgomitava pur di farsi notare. Quando mi chiedevano se ero capace di fare una cosa, io rispondevo di si e lo facevo dignitosamente. Se invece non mi ritenevo all’altezza, dicevo di no, oppure lo facevo a modo mio.

Vuoi levarti un sassolino dalla scarpa?

Più che un sassolino ho uno sfogo. La cosa brutta è non essere compreso per quello che sei, dalle persone che credevi molto amiche.

A chi vorresti dire grazie?

A Vincent Van Gogh e a quanti hanno fatto arte pittorica e che non ha mai venduto un quadro e Van Gogh è stato uno di questi. Un personaggio che ha sempre fatto il suo quadretto, ogni giorno, come Piet Mondrian, che andava a prendere la sua tela e la dipingeva nella sua bella casetta ordinata. Grazie a chi ha fatto arte perché era mosso da un fuoco dentro, un fuoco che io conosco e che provo quando suono il blues e capisco che siamo stati maltrattati negli ultimi 40 anni dalla televisione che ci ha resi un pochino delle bestie, culturalmente parlando. Siamo abituati a trovare consolazione nei nostri smartphone come se fosse il mondo. L’obbligo di servirsi di facebook e instagram per forza, social che io non vivo grazie a Dio, sarò decrepito, ma non vedo l’utilità. Vedo una massa di gente attaccata al telefonico, che poi non ha nessun grado di cultura. Non sento parlare di Proust, ma delle zinne di quella o di quell’altra che ha partorito, ma il figlio non è del marito, ecc … Rifiuto tutto questo. Tanti penseranno che sono un vecchietto, ma so che molti condivideranno le mie parole.    

Parlami di Roma, della tua città, Sergio.

Roma l’ho lasciata, Roma è bella per i turisti. Roma è bella ma da un ventennio a questa parte non è protetta, una città come Roma deve essere rispettata, va rispettata. Non puoi andare nella fontana della Barcaccia a farci il bagno o nei parchi a rompere le statue. Roma deve essere tutelata, perché tu che vieni dall’estero, ubriaco, che ti trovi davanti ad una fontana che ha 400 anni, fatta dal Bernini, non puoi permetterti neanche di toccarla. O a imbrattare e sporcare la scalinata di Trinità dei Monti. Puoi fotografarla, farci i filmini ma atti di vandalismo, no. In Inghilterra esistono i policeman che vigilano sull’ordine pubblico, a New York ci sono i poliziotti a cavallo. Stanno lì per tutelare e se sgarri ti caricano con il cavallo. Roma deve essere più rispettata e più tutelata e più amata, anche dai suoi abitanti.