Valentina Persia (ballerina e attrice comica)         Roma 1.8.2020

                        Intervista di Gianfranco Gramola

“Le mie ambizioni sono quelle di recitare in una commedia brillante, tipicamente italiana, cioè non per forza con il ruolo di quella che racconta soltanto le barzellette, ma mi piacerebbe che qualche regista allargasse un po’ gli orizzonti e vedesse un po’ che dietro c’è anche una vena artistica recitativa”

 

Il sito ufficiale è www.valentinapersia.it

Valentina Persia è nata a Roma nell’ottobre del 1971. Inizia la sua carriera nel 1985, nella stagione di lirica e balletto, alle Terme di Caracalla. Nel 1990 ha conseguito il diploma di ballerina solista presso l'Accademia nazionale di danza. Diventa protagonista al Teatro Parioli di Roma della commedia scritta per lei da Nadine Eid e B. Metayer Ah Valentina vestita di nuovo (single per forza) per la regia di Cesare Belsito e tradotto da Elisabetta Tucci. La stagione teatrale termina con un enorme successo di critica e pubblico con lo spettacolo Bravi a letto di e con Antonio Giuliani ed Eva Grimaldi. Nel 1994 ha debuttato nella trasmissione televisiva La sai l'ultima?, condotta da Pippo Franco, giungendo alla finale. Nel 1995 ha ottenuto il Diploma di recitazione al Ribalte diretta da Pietro Garinei. Ha partecipato alla trasmissione televisiva Saxa Rubra con Zuzzurro e Gaspare. Nel 1997 è stata ospite fissa nella trasmissione televisiva, sempre condotta da Pippo Franco, Sotto a chi tocca, in onda su Canale 5, mentre dal 1998 al 2002 ha fatto parte del cast fisso del programma che l'ha lanciata come caratterista, La sai l'ultima?. Nel 2001 e 2002 è stata ospite fissa del programma giornaliero di Rai 1 Ci vediamo su Rai uno condotto da Paolo Limiti. Dopo il successo di Come sorelle, altro varietà Mediaset, nel 2003 ha affiancato Pippo Franco e Natalia Estrada nel programma televisivo estivo di Canale 5 La sai L'ultimissima?. Nel 2007 ha partecipato alla trasmissione televisiva Tintarella di luna (Rai 2) e inoltre ha recitato nella commedia Di che peccato sei? di Pier Francesco Pingitore. Sempre nel 2007 lavora nella serie televisiva Caterina e le sue figlie 2, a fianco a Virna Lisi, Giuliana De Sio, Iva Zanicchi e Alessandra Martines. Fa parte del cast di E io pago, show del sabato sera su Canale 5 con il gruppo del Bagaglino. Nel 2008 fa parte del cast di Gabbia di matti, show del sabato sera su canale 5, e l'anno successivo recita nella serie televisiva L'onore e il rispetto - Parte seconda, interpretando Mimì, la proprietaria del bordello Hotel Roma; più tardi, nel 2010, è tornata a far parte del cast di Caterina e le sue figlie 3 interpretando Giuseppa "Pina" Benservito, una delle antagoniste della serie. Partecipa nell'episodio di Christian De Sica nel film di Carlo Vanzina, Buona giornata nel 2012. Nel 2014 partecipa al programma televisivo Giass con Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. È protagonista insieme ad Antonio Giuliani e Cosima Coppola della commedia Odio il rosso. Nel 2013 recita nello spettacolo Maria Stunata di Gianni Guardigli, regia di Iolanda Salvato con Franca Abategiovani, Carlo Dilonardo e Antonello Pascale.

Intervista

Prima di dedicarti alla comicità facevi la ballerina. Com’è nata la passione per il ballo?

Io nasco in una famiglia di quattro fratelli e mia madre disse: “Basta calcetto, voglio una ballerina” e sono arrivata io. In effetti questa non è stata una passione estemporanea, a breve termine, perché ho fatto 25 gli anni di danza classica, con tanto di diploma all’Accademia nazionale di Danza, perché amavo molto fare la ballerina, stare al centro dell’attenzione e d’estate al mio paese riunivo tutti gli amichetti, per vedere i miei saggi e le cose che inventavo mentre ballavo. Alla scuola nazionale di danza  poi c’era un grande maestro di ballo che all’ultimo anno di Accademia mi disse: “Secondo me non c’entri niente con la danza, però diventerai una brava attrice comica”. Me lo disse  25 anni fa e io allora piansi. Pensavo che non ero brava come ballerina e mi stava quasi offendendo. Invece a 25 anni di distanza tornai in Accademia e lo trovai chiaramente invecchiato. Nel frattempo di allieve ne ha avute a migliaia. Lo trovai e gli portai un mazzo di fiori ringraziandolo per quello che è successo. Sono diventata una discreta attrice comica e lo dovevo soprattutto a quello che mi aveva predetto lui. Da allora non ci siamo più lasciati, perché la riconoscenza per me è una forma di intelligenza molto rara ai giorni nostri. Ora è scomparso, però ho vissuto gli anni più belli di questo maestro severissimo, perché poi è venuto a vedermi a teatro ed è venuto a  trovarmi quando sono nati i miei figli. Quindi era nato un rapporto più che tra maestro e allieva, un rapporto quasi di parentela. Grazie a lui sono diventata un’attrice comica anche se la danza rimane una forte componente della mia vita.

I tuoi genitori come hanno preso la tua scelta di lasciare la danza per dedicarti alla comicità?

Ho lasciato la danza per la comicità però rimanevo comunque in campo artistico. Papà non ce l’ho più, ma loro sono stati due genitori che amavano il campo artistico a 360 gradi. Mia madre cantava nel coro del paese quando era giovane e anche lei nelle interrogazioni a scuola usciva con il sei diplomatico. Le maestre ridevano a crepapelle ogni volta che c’erano le interrogazioni. Lei aveva il gusto della battuta. Devo dire che gran parte dei miei spettacoli di cabaret riprendono un po’  di quei racconti di mia madre. Mio padre invece aveva un umorismo un po’ all’inglese. Quindi è stato un passaggio non netto, ma graduale, perché conoscevo un coreografo che doveva andare in Sardegna in un villaggio turistico e gli mancava la prima ballerina. Io ero da poco diplomata e mi feci avanti. Mio fratello gli stava facendo un’assicurazione e gli chiese di cosa si occupasse, lui rispose: “Sono un coreografo, sto partendo per la Sardegna però ho un problema perché si è ammalata la prima ballerina e non può partecipare per tutta la stagione”. Mio fratello: “Se vuoi, ti  presento mia sorella” e il coreografo: “Ma sai, nel villaggio non devi fare solo la ballerina, devi fare anche un po’ l’animatore e comunicare con i clienti”. E mio fratello: “Portate mia sorella, perché a casa mia siamo tutti molto comici”. A casa, tutti quanti, abbiamo messo tutto sullo scherzo, anche nelle difficoltà abbiamo sempre cercato il lato positivo e ironico delle cose. Lui mi ha portato nel villaggio, era il 1992,  e dopo una settimana i clienti “me se magnavano”, tutti mi volevano al tavolo, mi contendevano la sera. In quell’anno nel villaggio venne Pierfrancesco Pingitore. Una sera stavamo facendo una serata cabaret e io facevo una valletta da me inventata, un po’ ironica, che si muoveva in un modo particolare e che faceva le facce buffe. Al maestro Pingitore sono piaciuta e mi disse: “Perché quando torni a Roma non ti iscrivi ad una scuola di recitazione? Affini la dizione. Perché secondo me hai una buona capacità comica”. Finita la stagione, tornai a Roma e mi iscrissi ad una scuola di recitazione. Io ho una faccia che è una maschera e a teatro è facilitata per il drammatico. Facevo tutti i personaggi drammatici, come Lady Anna nel Riccardo III di William Shakespeare, praticamente l’opposto di quello che faccio oggi, questo perché mi piaceva andare su ruoli forti, ruoli duri, al margine anche, però nelle pause una barzellettina ci stava, perché è di famiglia. Quando stavo nella scuola nazionale di danza, uscì la striscia di Mediaset per un nuovo spettacolo comico. Ci andai e  trovai la grande Cinzia Tani, che era la casting più rispettata di Mediaset e mi disse: “Ci sarà un provino e poi un secondo provino, per poi accedere alla trasmissione”. Fatto il primo provino mi disse: “No, no. Tu fai il programma, non serve il secondo provino”. Approdai a “La sai l’ultima?” e da lì iniziò la mia carriera da comica.

Quali sono le tue ambizioni?

Le mie ambizioni, soprattutto in questo periodo del dopo quarantena, è quello di tornare a lavorare, perché noi dello spettacolo siamo gli ultimi a ripartire purtroppo. Le serate estive sono quelle più difficili da fare, con questo covid maledetto, che c’ha fregati tutti, anche se poi si vedono spiagge stracolme di gente e poi le serate non si possono fare, ma questo è un altro discorso. Le mie ambizioni dicevo, sono quelle di recitare in una commedia brillante, tipicamente italiana, cioè non per forza con il ruolo di quella che racconta soltanto le barzellette, ma mi piacerebbe che qualche regista allargasse un po’ gli orizzonti e vedesse un po’ che dietro c’è anche una vena artistica recitativa. Fare una commedia con un ruolo importante sicuramente, poi perché no, anche qualche ruolo molto forte, impegnativo, perché è un po’ nelle mie corde. In Italia siamo un po’ ghettizzatori. Mi piacerebbe che si spaziasse a 360 gradi, perché non è che una sa solo raccontare le barzellette, ma sa fare altro. La gente quando viene a teatro rimane stupefatta, perché ti vede recitare, ballare, cantare e ti vede a fare momenti molto intensi ed escono con le lacrime. Quello che voglio dire è che bisognerebbe andare oltre il proprio naso.

Hai lavorato con moltissimi artisti. Un tuo ricordo di Virna Lisi?

Era una donna meravigliosa, con un’aurea particolare intorno, bellissima e incredibile. Quando arrivava lei si fermava il set. Forse le dive di altri tempi usavano questo “modus operandi”, però per quello che ho vissuto in prima persona, lei era un pochino distaccata, non aveva la popolarità di Sofia Loren, però era una, che al suo tempo, è arrivata ad una veneranda età continuando a lavorare bene e tanto. Pensavo che essendo grande di età, si concedesse di più, soprattutto con le nuove leve. Io avevo una battuta con lei, e lei non aveva capito quello che avevo detto, e invece di rivolgersi a me che stavo a 10 centimetri, si è rivolta al regista dicendo: “Può dire alla ragazza se può gentilmente alzare un pochino il tono della voce?”. Mi è sembrata distaccata. Magari per lei era una giornata storta e ci può stare. Dicono che il primo acchito è quello che conta. A parte questo episodio, è stata una grande attrice e se dovessi associarla ad un qualcosa, l’assocerei al cashmere, perché era  sempre vestita con questi maglioni, mai troppo truccata, era una delle donne più belle che abbia mai visto. Oltretutto è arrivata ad un’età dove era ancora bella e uno ci metterebbe la firma ad arrivare così.

Qual è il segreto del tuo successo?

Io sono molto semplice, molto diretta, sto struccata quando passo l’aspirapolvere (risata). Non sono come quelle sui social, sempre truccate in ogni occasione. Si alzano alle 8 del mattino e postano una foto in cui sono già truccate  con il tacco 12. La gente è stufa di questi artifizi, di queste impalcature. Io mi dimostro come mamma, come donna, come persona che ogni tanto ha le sue paturnie, che ha avuto un parto gemellare che mi ha massacrata e che non ero in perfetta forma dopo un mese dal parto, perché quello è il Mulino Bianco. Ma il Mulino Bianco non esiste e quindi poi bisogna fare i conti con la realtà che è quella del quotidiano e a me piace mostrare il quotidiano, quello che tutte le donne vivono. Come è successo quando ho fatto l’intervista da Caterina Balivo, dove parlai della mia depressione post partum e si è scatenato un po’ un vaso di Pandora, perchè ripeto, siamo un popolo da Mulino Bianco, quindi si guarda soltanto la facciata del bello, del brutto non si può parlare, figuriamoci del doloroso. Io invece sono una mamma sola, non mi sentivo bene e l’ho dichiarato anche per essere di supporto alle donne che per tabù non lo dicono e poi va a finire in tragedia alla quale non si può porre rimedio. L’ho detto e mi sono arrivati miliardi di messaggi di persone che mi ringraziavano perché le ho fatte sentire meno sole. Io sono così e le cose vanno dette per come stanno, perché tanto poi alla fine quando una cosa la dici, è già terapeutica. Quando vado a fare le serata c’è un prima e anche un dopo, non c’è solo quella sul palco. Secondo me concedersi e ringraziare il pubblico che ti segue, è il minimo ed è doveroso.

Parliamo un po’ della tua città. Che rapporto hai con Roma?

Beh, vabbè, Gianfrà … Roma è il suo contrario, cioè Amor. Amore e odio, come quando si sta insieme con un fidanzato, nel senso che è una città meravigliosa, però è troppo piena di gente a mio avviso. Quando ci stanno troppe persone, se è possibile, prendo e scappo. E’ una città bellissima, caotica, disastrata, non parlo di politica perché non mi interessa per niente. E’ una città difficile da governare, siamo tanti, siamo in troppi che non la rispettano, cominciando proprio da noi stessi, dai cittadini. Però è una bella città e ho il piacere di godermela in agosto, quando si svuota e ci sono pochi turisti ed è bellissimo. Ritrovare il vero romano, quello delle sette generazioni, oggi è difficile, però quando si gira per le vie di Trastevere o Testaccio è sempre un panorama meraviglioso. Viverla e respirarla è un’esperienza unica.

In quali zone hai abitato, Valentina?

Io sono nata alla Garbatella, ho vissuto fino a 18 anni a via Ostiense, proprio di fronte ai mercati generali, poi mi sono spostata verso l’Eur. Lì ho vissuto con mamma e i miei fratelli e ora mi sono trasferita un pochino verso Ostia, quindi Casal Palocco, Axa.

La tua Roma in tre posti diversi?

Aventino prima di tutto, perché su quel colle per otto anni ho frequentato la scuola nazionale di danza, dove poi mi sono diplomata. Ho frequentato e vissuto quella zona, il giardino degli Aranci, Sant’Alessio, Santa Prisca e la casa di Nino Manfredi che era praticamente di fronte all’accademia. Noi andavamo a bussare alla sua porta dicendogli: “Nino, facce un caffè”. Perché in quel periodo faceva la pubblicità al caffè Lavazza. Il secondo posto è la basilica di San Paolo, perché è una basilica dove andavo spesso e perché mi ricorda le bancarelle il giorno di SS. Pietro e Paolo, la  giostra con i cavallucci e l’asinello che ti faceva fare il giro del parco. La terza zona è l’isola Tiberina, perché al Fatebenefratelli ci sono nati i miei figli. Quando passo da quelle parti con la macchina sul lungotevere, lancio sempre uno sguardo a sinistra e mentalmente e con il cuore mando sempre un “in bocca al lupo” a quelle donne che stanno per diventare madri.

Nino Manfredi l’hai conosciuto?

Ho avuto il piacere di incontrarlo da Paolo Limiti negli ultimi anni della sua vita e lui si congratulò con me dopo aver fatto un pezzo sugli aerei. Io gli dissi: “Maestro, sono tre le cose che mi legano a lei. La prima è la somiglianza con mio padre, due gocce d’acqua. La seconda  lei è d i Castro dei Volsci, che è un posto che conosco benissimo e io vengo da lì vicino. La terza è che  quando stavo in accademia venivo sempre a bussare alla porta di casa sua  chiedendole un caffè”. Lui con gli occhi pieni di tenerezza mi disse: “Sei brava, molto brava. Non arrenderti”. E quelle mani che stringevano le mie, quell’abbraccio me lo porterò sempre con me.

Cosa ti manca di Roma quando sei via?

Vivendo un pochino fuori Roma, mi manca poco perché poi quando ci torno, mi abbraccia. Mi manca praticamente casa, perché comunque casa anche se pur piccolina, la viviamo con i figli. La mia è una casa dove manca sempre qualche cosa come arredamento e quando sono fuori penso sempre a qualcosa da portare a casa. Quindi mi manca rivedere la mia casa.

Il tuo rapporto con la cucina romana?

Il mio è un rapporto con la cucina in generale. Dalle Alpi alle Ande, come si dice. Ieri sera abbiamo fatto una cena e uno dei miei must è la cacio e pepe. Io ho origini fortemente abruzzesi da parte di mamma e papà, però sono nata a Roma, poi ho vissuto 4 anni a Catania, quindi c’è un miscuglio di cucine. Ieri ho fatto il tiramisù con il pistacchio verde di Bronte (Catania). Adoro anche la cucina partenopea, che non ha niente da invidiare a nessuna cucina. Mi piacciono i piatti molto nordici e mi piace tenermi aggiornata sulla cucina. Mi piace molto quella che è la tradizione, però anche con delle piccole modifiche, delle piccole novità per renderle più attuali. Posso fare la cacio e pepe con una grattata di limone sopra, ma non mi azzardo a modificarla troppo. E’ come se si tocca una bellissima canzone o il film “Febbre da cavallo” di Steno. Meglio evitare, perché se le cose sono fatte bene, non bisogna ritoccarle. Alla canzone di De Gregori “La donna cannone” non puoi trovare nuovi accordi, la devi lasciare così com’è. Cantala come te pare. Ma lasciala così.

Da anni si parla di eliminare o spostare il mercato domenicale di Porta Portese. Cosa ne pensi?

Io penso che sia una carognata. Poi spostarlo perché? Quali sono le motivazioni? Se elimini questo mercato, devi eliminare anche la canzone di Baglioni “Porta Portese”. Oggi Roma si sa che è caotica, quindi bisogna renderla migliore. Poi a Roma quando si parla di organizzazione, tutti si tirano indietro. Secondo me bisognerebbe sottolinearlo come mercato, perché ci sono file chilometriche di gente che va a Porta Portese la domenica mattina. Quindi bisogna renderlo più ottimale, che sia da attrazione, magari con delle coperture che poi vengono richiuse durante la settimana, e renderlo più agevole. Dare una disposizione come si fa nei mercati più piccoli, come a campo de Fiori per esempio. Che si faccia una zona tutta per l’abbigliamento, da una parte quella delle scarpe, da un’altra parte le cose di antiquariato, la parte etnica concentrata in un unico punto, così uno sa già dove trovare quello che gli interessa.    

Perché il romano è così simpatico? Merito del clima, della cucina capitolina?

Perché secondo me Roma è uno spartitraffico di quello che è il nord e di quello che è il sud. In mezzo abbiamo dovuto cercare di essere il più bonari possibile, per acquietare le acque, per unire. Roma è lo scotch, la parte collante fra due realtà diverse. Ma poi non è per forza che il romano è sempre simpatico. Però generalmente siamo quelli più sornioni, più allegri, quelli che dicono “Venite a Roma che qui se ride e se magna”. A Roma se non la prendi con allegria, che fai? Ma ci sono i napoletani che ci fregano in fatto di simpatia. Secondo me sono proprio in quelle città dove si vive un caos naturale che i cittadini la devono prendere sul ridere, anche se bisognerebbe pensarci un pochino e  cercare delle migliorie per le proprie città, per renderle più vivibili.