Bobby Solo (musicista)           Jesolo 6.9.2021

                      Intervista di Gianfranco Gramola

“Io non sono molto per i talk show. Io amo solo cantare, non amo parlare, non mi interessa, chiacchierare mi annoia”

Il sito ufficiale dell’artista è www.bobbysolo.com

Intervista

Bobby è in vacanza con la famiglia a Jesolo, ospite di un albergatore della zona.

Bobby Solo, all’anagrafe Roberto Satti, è nato a Roma il 18 marzo 1945. Sin dall'adolescenza si interessa di musica, in particolare di rock'n'roll, diventando un fan di Elvis Presley. Impara a suonare la chitarra e compone le prime canzoni; all'inizio degli anni sessanta il padre, che lavora come dirigente per Alitalia, viene trasferito da Fiumicino a Linate e la famiglia si sposta a Milano. Qui Roberto viene notato da Vincenzo Micocci, che gli propone un contratto per la Dischi Ricordi e lo fa debuttare nel 1963 con il primo 45 giri, contenente Ora che sei già una donna. Nel 1964 partecipa al Festival di Sanremo cantando in coppia con Frankie Laine il brano Una lacrima sul viso. Nel 1964 vince anche la prima edizione del Festivalbar, con Credi a me. Il 1965 gli porta la prima vittoria a Sanremo, con Se piangi se ridi, eseguita anche dai New Christy Minstrels. Il successo continua con Non c'è più niente da fare: pubblicata nel dicembre 1966, entra in classifica l'anno dopo, anche grazie al fatto di essere scelta come sigla della trasmissione TuttoTotò. Tra gli altri suoi successi, da ricordare San Francisco (1967), versione italiana dell'omonimo brano cantato da Scott McKenzie; Siesta (con cui partecipa al Cantagiro 1968), Una granita di limone (1968), Domenica d'agosto (1969). Nel 1969 nuova vittoria a Sanremo, abbinato a Iva Zanicchi, con Zingara, 1º in classifica di vendita, per 2 settimane. Negli anni ottanta, insieme a Rosanna Fratello e Little Tony, forma il supergruppo i Ro.Bo.T. che riscuote un certo successo, grazie alla partecipazione a una trasmissione televisiva e alla pubblicazione di un album contenente brani presentati al Festival di Sanremo. Nel 2003 torna al Festival di Sanremo con Non si cresce mai, in duetto con l'amico Little Tony; riprende l'attività dal vivo, in cui presenta, oltre ai suoi successi, anche molte cover di Elvis Presley, Little Richard, Chuck Berry e altri brani di rock'n'roll, come Be bop a lula, Blue suede shoes, Tutti frutti, Rip it up. Tra il 2001 ed il 2006 registra 5 album con la casa discografica Azzurra Music: That's Amore (2001); Let's Swing (2003); Homemade Johnny Cash (2004); The Songs of John Lee Hooker (2005); Christmas with Bobby Solo (2006). 18 marzo 2015: Meravigliosa vita è il 37º album; celebra i suoi 70 anni di età e 50 di carriera; è pubblicato dalla Clodio Management S.r.l.s.; contiene 13 brani, dei quali 9 inediti (di cui 3 firmati da Mogol) e 4 riletture, in chiave blues, di suoi "classici": Se piangi se ridi, Non c'è più niente da fare, Una lacrima sul viso e Gelosia. Nel 2016 partecipa a nove puntate del programma musicale MilleVoci di Gianni Turco dove esegue successi sempreverdi, rivisitazioni, alcuni inediti. Nel 2017 pubblica Russian Ladies, cantata insieme a George Aaron. Nel 2020 una canzone scritta da lui ed Andrea Bellentani, cantata da Angelo Seretti, si piazza al primo posto della classifica Euro Indie Music.

Bobby, com’è nata la passione per la musica?

Prima di tutto faccio uno scoop… io sono nato con un’anomalia, cioè privo completamente del nervo acustico all’orecchio destro. Sono stato riformato al servizio militare, subito dopo “Una lacrima sul viso” e purtroppo mi funziona solo l’orecchio sinistro. Ma io non pensavo alla musica. A 14 anni volevo fare il ferroviere ma non quello che guida, perché ero pigro, ma quello che sposta i binari e mi piaceva osservare i treni passare. Però mi innamorai di una ragazzina americana che si chiamava Betsy McGurn, che era la figlia del giornalista del New York Tribune e viveva ai Parioli, dove abitavo anch’io. Lei mi parlava sempre di Elvis Presley. Io conoscevo Johnny Dorelli, Tony Dallara, Celentano e non sapevo chi era Presley. Però avevo una sorella, che purtroppo ho perso l’anno scorso, che era del primo marito di mamma e che si era sposata nel ’50 in America con un dottore. Le telefonai e le dissi: “Fiorenza, ma chi è questo Elvis Presley?”. E lei: “Ma come, non lo conosci? Qui è una leggenda e le donne impazziscono per lui. Ora ti mando due 45 giri e due LP suoi”. Arriva questo pacchetto dall’America e vedo questo ciuffo e questo bel ragazzo e cerco di pettinarmi come lui. Allora avevo i capelli corti, tipo i marines e chiesi a mia madre il permesso di farli crescere. In più, non essendoci i gel moderni, usai una brillantina che non era la Linetti, ma era della Oreal e si chiamava “radiante al Panuviol” ed era a base di olio e mia madre si arrabbiava perché gli sporcavo i cuscini. Quindi feci crescere i capelli e questa ragazza, di cui ero innamorato, mi disse: “Va bene, però non canti”. Allora chiesi a mia madre di comprarmi una chitarra per Natale. Lei mi ha comprato una chitarra “Carmelo Catania” nera con il cerchietto bianco del buco, però mi accorgo con dolore che toccando le corde, senza mettere le mani sul manico, non veniva fuori nessun suono. Io credevo che suonasse da sola (risata). C’era un falegname calabrese che mi voleva bene e che era più grande di me, che mi insegnò 4 accordi. Con quei 4 accordi cominciai a strimpellare e canticchiare per farmi bello con la Betsy. Mia madre poi, che mi voleva molto bene, a 15 anni mi fece fare un provino alla Rai. Al provino vado con un pezzo di Elvis, una canzone un po’ melensa che si chiamava “Old shep”, che vuol dire vecchio cane e parlava di uno che piangeva perché il suo cane, con cui aveva giocato fin da bambino, è morto e lo rimpiangeva. E questi signori della Rai, dai capelli bianchi, mi ascoltarono e poi mi dissero: “Signor Satti, è meglio che lei continui a studiare al Ginnasio, perché è negato per la musica, lei non farà mai il cantante”. Io scoppiai a piangere e un chitarrista che suonava con Fausto Cigliano, allievo del grande Andrés Segovia, chitarrista leggendario, mi ha preso accarezzandomi e mi ha detto: “Lascia perdere questi vecchi tromboni, continua a cantare e credi in te stesso”. E così ho seguito il suo consiglio. A Roma avevo una band e suonavamo rock and roll. Mio padre, che era del 1906, odiava la musica rock e diceva in triestino: “No i sa cantar, i ziga”, che vuol dire che non sanno cantare, ma urlano. Allora, per non farmi cantare, si è fatto trasferire all’aeroporto di Milano Linate, perché papà era pilota. A Milano immediatamente ho rifatto una band e guarda caso trovo un batterista che viveva in un quartiere popolare. Lui si chiamava Franz Di Cioccio, che poi ha formato la PFM (Premiata Forneria Marconi). Franz aveva come me 16 anni e andavamo in giro a fare la corte alle baby sitter e mi diceva in milanese: “Domenica ci vestiamo tepa o distinti?”. Tepa era il chiodo e distinti voleva dire con l’abito blu. E suonavamo il rock and roll nei locali del partito socialista e nei club della UDI, Unione Donne Italiane, nella nebbia, per 1500 lire in tre. A quei tempi andavo ancora a scuola e facevo il secondo anno al liceo Beccaria. Andavo a fare ripetizione di greco con un professore di Genova, il prof. Vigo, che abitava a Milano, a piazza Piemonte. Lui sapeva che avevo la passione per il canto e mi disse: “Sai, io conosco un ragazzo che si chiama Lorenzo Lo Vecchio, che è il fratello del paroliere Andrea Lo Vecchio, che faceva i pezzi per Mina e per tanti altri. Anche Lorenzo Lo Vecchio viene a fare ripetizione e lui conosce la Ricordi, la casa discografica”. Qualche giorno dopo incontro Lorenzo Lo Vecchio, che poi da grande è diventato giornalista di Eva Express e di Novella 2000. Lui mi disse: “Ti porto io alla Ricordi giovedì pomeriggio”. Siamo andati alla Ricordi, lui sale al terzo piano, io molto emozionato rimango nella hall, vicino alla porta con la targa “Direttore artistico Dr. Vincenzo Micocci”, che è stato quello che ha scoperto tutti i cantautori, da Dalla a De Gregori, ecc … La Ricordi lo aveva assunto per avere una persona competente, una persona in gamba. Mentre aspettavo nella hall, vedo una chitarra e una segretaria bionda, inizio a strimpellare due pezzi di Elvis per fare il bello con la segretaria, si apre la porta ed esce il dr. Micocci dicendo: “Chi cantava?”. Dissi “Sono  stato io, però non canto più. Mi scusi”. “Venga nel mio ufficio” mi disse e mi fece cantare alcuni pezzi davanti a lui, molto emozionato. “Ma lei - disse il dr. Micocci - lo farebbe un contratto?”. Io non sapevo che si prendevano soldi a cantare. “Grazie direttore, io ho 5 mila al mese che mi da mia madre, non credo che bastino”. “No – aggiunse il direttore – la pagheremo noi”. Io credevo che dovevo pagare io e  ho risposto: “Allora va bene”. Ornella Vanoni, Gaber e gli altri cantanti famosi prendevano il 6 per cento. A Me hanno dato il 2 per cento. Ho fatto tre dischi e allora non c’era il web e non ne ho venduto neanche una copia. Andavo a comprarli da solo, a corso Lodi, a Milano. Compravo 5 dischi della canzone “Cristina” e mia zia a Trieste ne comprava altrettanti. Dopo tre dischi la Ricordi mi volle cacciare via. Il papà di Mogol, Mariano Rapetti, dirigeva le edizioni e mi voleva molto bene e mi teneva sempre in ufficio. Mi fa: “Non hai una canzone nel cassetto?”. Io avevo “Una lacrima sul viso” come melodia, però il testo era un po’ improvvisato. “La musica è bellissima – disse – però le parole bisogna cambiarle, le scriverà mio figlio Giulio”. Arrivò Giulio, che credevo arrivasse su una Giulia o una Ferrari, ma semplicemente con una Renault R4, targata Como, quelle con il cambio a stantuffo (risata) e mi fa: “Non ho avuto il tempo per scrivere il testo della tua canzone”. “Allora cosa andiamo a fare in sala d’incisione?” “Lo scrivo per strada” disse Giulio. “In 20 minuti ce la fai?” dissi preoccupato. “Si, non ti preoccupare”. Mi da carta e penna, lui guida, e in 20 minuti mi ha dettato il testo della canzone. Scritto il testo, a quel punto vengo chiamato per cantare, ancora sconosciuto, in una specie di X Factor. Ero al teatro Nuovo di Milano e c’era Ricky Gianco, Remo Germani, Lilli Tombolato e tanti altri esordienti. Era una specie di concorso, di gara, tipo Amici, organizzato da Gianni Ravera, che era il fondatore di Sanremo. Canto il pezzo che si chiamava “Ora che sei già donna”, una canzone tipo gospel, con la vociona. Ravera, dopo avermi sentito, viene in camerino, mi abbraccia e mi fa: “Tu sei una gallina dalle uova d’oro. Firma il contratto e io ti porto a Sanremo”. Infatti dopo sono andato a Sanremo. Vedendo a 19 anni i professionisti americani come Paul Anka e Frankie Avalon che cantavano, mi sono emozionato e ho perso la voce. Allora Micocci decise di mandarmi in playback. Morale, ero all’hotel Royal e mi hanno messo in un sotterraneo dove non avevo neanche il gabinetto ed ero accanto alla stanza delle donne delle pulizie. Se avevo bisogno del bagno, dovevo andare su, nella hall. La mattina dopo della mia esibizione in playback, sono arrivati 300 mila ordini di dischi in una notte. Allora il cameriere mi ha fatto alloggiare in una “suite” all’ultimo piano. Quindi dalle stalle alle stelle e lì è partita la mia lunga carriera che ancora prosegue.

Fra colleghi hai trovato più rivalità o complicità e amicizia?

Da parte mia non c’è mai stata nessun tipo di rivalità. Io e Little Tony eravamo due fratelli e dividevamo insieme il sogno americano. Gli impresari erano sicuramente in rivalità perché io e Tony facevamo lo stesso tipo di musica. Quindi trattando la stessa musica, quella di Elvis e i nostri successi, il mio impresario mi vendeva per 3 milioni, l’impresario di Little Tony voleva 6 milioni, quindi chi non aveva 6 milioni, prendeva Bobby Solo perché costava meno. C’era quindi una rivalità tra i manager. Io e Little Tony eravamo due artisti che condividevano la stessa passione, come due che amano il golf o il calcio. Noi due eravamo felici e contenti e io sapevo che Tony aveva una grande immagine e lui sapeva che io avevo una buona vocalità. Una volta lui mi abbracciò e mi disse: “Con il mio look e la tua voce, saremmo  diventati grandi cantanti”. E ci siamo messi a ridere. Abbiamo condiviso 45/50 anni di fratellanza.

Come ricordi la tua esperienza con i Ro.Bo.T?

Con i Ro.Bo.T. sono stati anni bellissimi. Eravamo in tre e Little Tony era forte perché sceglieva le canzoni che dovevamo cantare nella trasmissione “Cantando cantando” che poi diventò “Casa mia”. Una trasmissione che era in una fascia oraria mattutina per le massaie, per Canale 5, che era inesplorata per quell’ora. Provavano a fare qualcosa perché non erano abituati a fare programmi mattutini di quel genere. Quindi inventarono questo programma dove noi cantavamo e ci chiamarono i Ro.Bo.T. che erano le iniziali di Ro. Rosanna Fratello, Bo. di Bobby Solo e T. di Little Tony. Tony sceglieva i pezzi e diceva: “Io canto Strangers in the Night di Frank  Sinatra, Rosanna canta una canzone di Mina e tu Bobby che sei un simpaticone, canterai Papaveri e papere”. Oppure cantavamo canzoni di Aurelio Fierro. Lui mi dava delle canzoni a volte più simpatiche ma meno importanti e io mi divertivo lo stesso, perché io la musica, la vivo a 360 gradi. A me piacciono sia le canzoni come “Fin che la barca va” come quelle rock, country,  gospel, canzoni francesi e quelle di Bob Dylan. Quando canto nelle serate, oltre alle mie canzoni classiche, canto anche jazz, rock, blues e in questa maniera, facendo un tributo a Johnny Cash, ho fatto, prima del covid, sei concerti dove il più vecchio aveva 30 anni. I ragazzi mi hanno riempito di baci, abbracci e di selfie.

Dopo un concerto temi più il giudizio della critica e del pubblico?

La critica è una cosa che fa parte della democrazia. Può piacere o no la voce o lo stile. C’è a chi piacciono gli spaghetti alla carbonara e a chi invece piacciono gli spaghetti allo scoglio. Non è che a tutti piacciono le stesse cose. A me, fino ad ora,  non sono mai arrivati né pomodori né sassi. Ho sempre fatto felice il pubblico. Potrebbe anche succedere un giorno di scivolare su una buccia di banana, ma a 76 anni, dopo 57 anni di palcoscenico lo accetterei. Ma per ora non è mai successo.

Hai molto successo anche all’estero, vero?

Io ho fatto 11 tournée in Sud America, ho cantato 28 volte in Canada e negli Stati Uniti, avrò cantato 20 mila volte all’estero, in posti diversi dove c’erano italiani, ho cantato in Francia dove ho venduto un milione e mezzo di copie e nel 2009 e 2011 ho partecipato ad uno spettacolo con 60 concerti, sempre in palazzi dello sport con 5 mila spettatori, facendo uno spettacolo alle 16.00 e uno alle 21.00. 5 mila persone a spettacolo, quindi 10 mila al giorno per 60 concerti. Cantavo insieme ad altri 15 artisti, fra questi molti francesi fra i 60 anni e gli 80 anni. Infatti lo spettacolo si chiamava, in modo ironico, “Age tendre”, che vuol dire tenera età. Nel ’64 invece facevo la  televisione in Francia con la Cinquetti e con Morandi e avevamo 20 anni, infatti il programma era di giovani e si chiamava “Tenera età” e quando ho cantato “Una lacrima sul viso” e un pezzo di Elvis, il pubblico si alzò in piedi per applaudire. Nel 2012 ho cantato all’Olympia di Parigi, sempre facendo parecchio Elvis e anche lì tutto il pubblico si è alzato in piedi applaudendo. E’ stata una bella soddisfazione. Poi uscendo dall’Olympia c’era un gruppo di cantanti di gospel in mezzo alla strada, alle macchine. Ho preso la chitarra e abbiamo fatto dei gospel che cantava Elvis Presley.

Prima di una esibizione, hai un rito scaramantico?

No, io faccio solo qualche esercizio vocale, tanto per scaldare le corde vocali.

Se fosse andata male con la musica, qual era il tuo piano B. Cosa avresti fatto nella vita?

Visto che sono sordo di un orecchio, forse mio padre mi avrebbe raccomandato all’Alitalia, per un posto a terra, a fare qualche lavoro d’ufficio. Lui era un pezzo grosso, era dirigente al traffico internazionale e mi avrebbe fatto assumere.

In televisione vediamo la Berti, La Zanicchi, la Vanoni. Come mai non ti vediamo spesso in tv?

Io non sono molto per i talk show. La Berti ha fatto bene ad andare da Fazio, perché le piace anche stare in mezzo ai talk show. Io amo solo cantare, non amo parlare, non mi interessa, chiacchierare mi annoia. La Zanicchi è bravissima a Canale 5 e Rete 4, è in gambissima. Però ognuno ha un suo carattere e io vorrei solo cantare. C’è un dirigente della Rai, di cui non faccio il nome ma che adesso è in pensione, che mi disse: “Tu Bobby in televisione non puoi cantare ne country, ne jazz, ne rock. Per tutta la vita devi cantare le tue canzoni”. Lo faccio anche volentieri, però io credo che sarebbe bello anche avere l’occasione di cantare anche canzoni di altri. Per esempio Mara Venier mi ha  dato l’occasione, prima dell’estate, di esibirmi insieme a Pupo, Orietta Berti e Vianello, facendo rock and roll. Poi ho cantato anche i miei pezzi classici e poi Mara è venuta ad abbracciarmi perché è un’amica del cuore e poi ha pure cantato con me “Se piangi, se ridi”. Io amo cantare, poi qualche chiacchiera di 15 minuti ci sta, però nei programmi dove io faccio l’opinionista e basta, non mi diverto, anzi, mi annoio.

Per te, la musica bisogna sentirla o anche capirla?

Prima bisogna sentirla, poi se uno riesce a capirla è ancora meglio (risata).

In un’intervista hai detto che la musica ti ha salvato dal carcere. Cosa intendevi?

Diciamo che avevo una certa predisposizione, perché quando avevo 14 anni avevo un amico con il quale andavamo a rubare delle moto, le Vespe, le  smontavamo e poi le  vendevamo a porta Portese. Ci hanno arrestati, ma eravamo minorenni. Mio padre ha avuto l’incauto affidamento e lui, un colonnello tutto d’un pezzo, soffriva. Pensa che questo amico, di cui non dico il nome, poi è diventato ambasciatore a Melbourne. Lui era figlio di un carcerato all’ergastolo di Viterbo ma poi è stato adottato da un signore che aveva tanti milioni e aveva una ditta di filati di calze. Questo ragazzo aveva i soldi, aveva due belle moto e per me era un idolo. Lui mi istigava e andavamo nello   spogliatoio delle Olimpiadi a rubare i portafogli alle nuotatrici americane. Una di queste poverette, si chiamava Chris Von Saltza, una nuotatrice bionda, se n’è accorta e ci hanno arrestati un’altra volta. Allora mio padre mi ha portato da un criminologo e questo mi ha fatto una serie di test e alla fine ha detto: “Vede la fotografia che ho fatto a suo figlio? Vede i lobi frontali occipitali che sono spinti in avanti? Questi lobi di ossa comprimono i freni inibitori. Se questo ragazzo non fosse nato in una famiglia borghese, in questo caso di un pilota, avrebbe potuto fare teoricamente qualcosa di brutto”. Così ha detto il professore. Io ho solo fatto una ragazzata che fa solo un ragazzo di 14 anni. Poi è arrivata la musica che mi ha preso totalmente.

Ad un giovane che si avvicina alla musica, che consigli daresti?

Io dico solo questo, che oggi i guadagni che provengono dalla musica, sono molto calati ed è molto difficile guadagnare. Si guadagna solo con i live, con le esibizioni dal vivo. Mia moglie l’altro giorno sentiva in macchina la cantautrice Norah Jones che diceva: “Prima di mettere tutto sul digitale vendevo 25 milioni di dischi, ma quando è entrato il digitale, io guadagno solo facendo il live, cantando dal vivo”. Quindi ad un ragazzo consiglierei di amare la musica e di farla, ma di avere sempre una sicurezza di un lavoretto, un piano B. I cantautori importanti, 20 anni fa vendevano 1 milione di dischi e un disco costava 14 euro e lui prendeva il 20 per cento, ovvero 3 o 4 euro. Quindi un cantautore che vendeva 1 milione di copie guadagnava 4 milioni. Poi essendo un cantautore iscritto alla SIAE, con i diritti ne guadagnava altri 2 milioni e alla fine ricavava 6 milioni con quel disco. Oggi i cd non si vendono più, si vende su spotify, scaricando a 90 centesimi a canzone. Quindi il fan del cantautore non scarica tutti i 12 pezzi del cd, ma ne scarica 3 e paga solo 2 euro e 70. Di quei 2 euro e 70 il cantante prende il 20 per cento, quindi guadagna 54  centesimi. Ecco perché il cantante deve fare le serate, perché con il digitale guadagna troppo poco. Oggi è così, purtroppo hanno tolto i cd e hanno creato di  nuovo il vinile, sapendo che il vinile copre solo il 5 per cento del mercato. Per sentire veramente bene il vinile bisogna avere un impianto hi fi da un minimo di 5 mila euro a un massimo di 15 mila euro. Ma comprando un impianto da 350 euro, in cui ci inserisci la chiavetta usb e che è mezzo di plastica, il vinile è solamente un oggetto feticistico, ma la qualità del suono è molto diverso. Ricordo che 20 anni fa c’era un allevatore di cavalli da corsa della val di Sangro, che era un patito della musica e aveva un impianto hi fi da 50 mila euro. Io che sono sordo di un orecchio, quando ho sentito il disco jazz dove suonava la batteria, ho avuto la sensazione che con gli occhi chiusi avrei toccato i piatti della batteria. Allucinante, però costava 50 mila euro.

Tu hai scritto le musiche delle tue canzoni. Hai mai provato a scrivere canzoni?

Io ho scritto solo la musica. Componevo cantando in un inglese maccheronico e poi altri ci mettevano le parole.

Un domani come vorresti essere ricordato?

Io credo di lasciare una buona musica, poi non so come mi potranno ricordare. Se mi giudicheranno male o bene, ognuno ha le sue opinioni, le sue simpatie. Io so che lascerò della buona musica, perché ogni tanto vado sul web e ascolto tutto quello che ho combinato dal ’63 in poi e mi sembra che non ho fatto una musica da buttare via.