Claudio (Gallo) Golinelli (musicista)                     Imola (Bologna) 19.7.2021

                                     Intervista di Gianfranco Gramola

“Tu pensa che emozione, suonare con Celentano a Bologna, davanti al Papa e a 500 mila ragazzi e a Lourdes davanti a 18 mila ammalati. Franco Battiato? Lui è stato un grande per me. Quando avevo il cancro ascoltavo sempre il suo brano La cura

Claudio Golinelli è nato a Imola il 12 ottobre 1950. Ha frequentato dall’età di 12 anni il conservatorio e si è diplomato in contrabbasso. La sua carriera inizia nel 1969 all’interno del gruppo I baci, in cui suona anche il chitarrista Jimmy Villotti. Dopo aver prestato servizio militare la sua carriera però svolta. Entra infatti nella band italo americana degli Zebra Crossing, che gli permettono di partecipare anche a un toureuropeo. Lavora quindi nella band di supporto a Gianna Nannini, e nel 1980 entra in contatto con Vasco Rossi, che gli propone di unirsi a lui. Inizia un sodalizio che non si interromperà praticamente mai. Il riff iniziale di basso di Siamo solo noi porta la sua firma. Non solo il Blasco. L’artista allarga i suoi confini e lavora anche con Ron e gli Stadio. Nel 1984 entra invece nella Steve Rogers Band, il gruppo che accompagna Vasco in quel periodo. Con questo gruppo fuori dagli schemi pubblica nel 1987 l’album Alzati la gonna, la cui title track diventa un vero tormentone nel 1988. Gli anni Novanta lo vedono dividersi tra i tour con Vasco e quelli con altri grandi nomi della nostra musica, come Adriano Celentano e Franco Battiato. Nel 2008 è costretto a interrompere i suoi tour per colpa di un tumore al fegato, però riesce a rimettersi nell’autunno del 2009. Torna così a lavorare con Vasco e a mettere su altri progetti, come il Gallo Team. Sulla vita privata di Claudio Golinelli si conosce poco. Sappiamo che da anni è sposato con Monia Donatini, cantante e sua fan, e che i due hanno una figlia, Sophia.

Intervista

Com’è nata la passione per la musica?

La passione me l’ha trasmessa mio padre. A 8 anni andavo a Milano a scuola di batteria, da Gil (Gilberto) Cuppini, il miglior batterista dell’epoca e ho cominciato a suonare la batteria. Poi a 14 anni ho formato un gruppo che si chiamava GinoK, le iniziali di mio padre, ed eravamo un gruppetto alla Beatles, dei rocchettari. Quando finivamo di suonare, i miei colleghi chiudevano le loro chitarre e il basso negli astucci e andavano a correre dietro alle ragazzine. Io invece ero ancora lì a smontare i piatti della batteria. Mi sono detto che la batteria non era il mio strumento. Nel frattempo andavo in conservatorio per imparare a suonare il contrabbasso e quindi ho cambiato strumento e mi sono dato al contrabbasso elettrico. La batteria l’ho insegnata ad un altro ragazzo, che adesso ha un ristorante e mentre io correvo dietro alle ragazzine lui smontava i piatti ed è stata la mia rivincita.

I tuoi genitori erano contenti della scelta di dedicarti alla musica?

Mio padre era un musicista, quindi era d’accordissimo che io facessi musica. E’ stato lui a mandarmi a fare le scuole medie facoltative in conservatorio a Bologna, al Giovanni Battista Martini. Mio padre aveva capito che stavo diventando un bravo musicista anch’io, che avevo questa predilezione per la musica e gli faceva piacere. Anche mio padre era un rocchettaro e ha suonato 6 anni con gli inglesi, suonava gli  Shadows. Mia mamma che aveva sposato un musicista, aveva piacere che continuassi la tradizione musicale. Io addirittura ho sposato una cantante (risata).

Era una tua grande fan. Come l’hai conosciuta?

L’ho conosciuta così: mi chiama Red Ronnie e mi dice che si doveva fare un concerto a Faenza, la notte degli Angeli, per dei ragazzi che purtroppo erano deceduti in un incidente stradale. Accetto e preparo il concerto nel quale ci saranno tanti ospiti. Io però dico che voglio anche un coro che mi aiuti a fare tutto e mi danno un coro dove c’erano un ragazzo, una ragazza non carina ed un’altra ragazza che oltre ad essere brava, era anche molto carina, che io chiamai subito “Direttrice Dirigibile del coro”. Poi questa cantante è diventata mia moglie.

Come l’hai conquistata?

L’ho conquistata dicendole: “Fra 15 giorni ti porto a letto” (risata).

Com’è andata a finire?

Devo dirti la verità, mi ha portato a letto lei (risata). Siamo ancora insieme dopo 22 anni.  

Claudio Gallo Golinelli con Vasco Rossi

Com’è nato il nomignolo “Gallo”?

Me l’ha dato Gianna Nannini. Ho suonato con lei 8 anni. Mentre facevo i dischi con Vasco Rossi, contemporaneamente suonavo con la Nannini. Io mi chiamo Golinelli e mi chiamavano Gollina, Gallina e mi davano questi soprannomi del cacchio. Il fatto è che io con le donne ci so fare e mi sono fatto tutte le sue amiche. Allora Gianna Nannini mi ha detto: “Claudio, tu non sei una gallina, sei un gallo”. Hai capito? Il nome Gallo me l’ha dato la Nannini perché tutte le sue amiche sono passate sotto il mio arco di trionfo (risata).

Quanti strumenti hai, quanti bassi?

Io me li faccio fare, ne ho tanti e alcuni non li uso più. Ho un Jazz Precision Fender  originale del 1962, poi ho un Jazz Wasser di mio padre che è del 1959, che non lo vendo perché è un ricordo di papà, che tengo in cassaforte. Poi ho una Rickerbacker in ferro e poi 8 bassi fatti a mano dal mio liutaio di Sant’Arcangelo di Romagna che si chiama Giuseppe Gobbi. Me li fa secondo il mio modo di suonare, un modo un po’ bastardo e ognuno ha un suono diverso.

Hai fatto mettere anche le luci sui tasti.

Certo. Per fare lo “sborone” per primo, poi perché con Vasco, all’inizio di certe canzoni, si spengono le luci e devo iniziare io, con il basso. Cosa mi metto a contare i tasti al buio? Con le luci becco subito il tasto giusto ed è stata una mia idea, capito?

E’ vero che ai tuoi strumenti hai dato un nome?

Si. Il 5 corde che è molto delicato, lo chiamo “Lillo”. Quello un po’ duro che è un madreperlato verde, lo chiamo “Verduro”. Ho poi quello di color grigio perla, che io chiamo “Grigio Pirla”. Poi c’è quello color blu cobalto e lo chiamo “Blu scopaldo”. C’è poi quello nero brillantino che l’ho soprannominato “Pelo Nero”. Poi ne ho tutto glittato, che cambia colore a seconda della luce che prende e l’ho chiamato “Glit-toride”. L’ultimo è un po’ a specchio e si chiama “Specchiatela” (risata). Io lo metto per terra, poi faccio venire le donne sul palco e dico: “Provate a passare sopra il mio basso”, per vedere se rende (risata). L’ho già fatto questo provino, le ragazze ci passavano sopra e ti lascio immaginare cosa specchiava il mio basso (risata). Sono ancora un po’ monello io.

Un tuo ricordo di Adriano Celentano?

A Celentano gli voglio molto bene. Lui mi ha invitato quando registrava “Adrian” in TV. Lui ha saputo che sono stato poco bene per via del trapianto del fegato, allora ha cercato dove ero e ha mandato sua figlia Rosita a trovarmi. Dopo aver fatto una foto con me mi ha detto: “Ti saluta babbo”. Lui non poteva venire in mezzo al pubblico, capito? Lui mi ha portato a Lourdes, con lui ho suonato davanti a Papa Wojtyla. Davanti al Papa ho iniziato con il basso la canzone “Pregherò”. Adriano mi ha dato tante di quelle soddisfazioni che non ne hai idea. Lui era il mio idolo fin da piccolo. Quando al Luna Park, girando con le macchinine degli autoscontri, sentivo il basso di “Pregherò”, dicevo: “ Dio bono, che bello. Chissà se la suonerò anch’io questa canzone”. Tu pensa che emozione, suonare con Celentano, davanti al Papa e a 500 mila ragazzi, a Bologna. Poi con Celentano siamo andati a suonare a Lourdes, nella grande basilica sotterranea, davanti a 18 mila ammalati. Il cardinale che ci accompagnava mi disse: “Mi ha detto Adriano che lei suona un po’ forte. Sappia che noi davanti mettiamo i finali”. In gergo musicale i finali sono gli amplificatori di potenza. “Va benissimo” dico io. “No – dice il cardinale – i finali sono quelli che vanno a morire”. Io ci sono rimasto molto male. Ho visto delle persone tra i “finali”, davanti al palco, mentre Adriano cantava “Azzurro”, che cantavano con il sorriso sulle labbra ed erano persone che dovevano morire. Ricordo una ragazza che aveva una faccia bellissima e un corpicino piccolissimo. Mi viene da piangere a pensarci. Questo è stato Celentano per me, un amico che mi ha fatto vivere tante cose.

Franco Battiato?

Lui è stato un grande per me. Quando avevo il cancro ascoltavo sempre il suo brano “La cura”. Ti racconto un aneddoto. Mi chiama la sua agenzia e mi dice che Battiato vuole fare con un’orchestra sinfonica dietro una base un po’ più rock e allora vorrebbe me al basso, Lele Melotti alla batteria e il chitarrista che suonava con Bennato. Un trio rock e dietro un’orchestra con i violini e tutto il resto. “Bene – dico – quando iniziano le prove?”. “No, le prove non le fa mica Battiato” mi rispondono. Il giorno dopo mi è arrivato un pacco con tutti gli spartiti con la scaletta, quindi se io non fossi stato diplomato al conservatorio, col cacchio che avrei suonato con Franco Battiato e senza fare una prova. Poi piano piano di notte me le sono imparate. Poi c’è stato un momento in cui mi ha chiamato Vasco Rossi per dirmi che iniziamo il tour. Io ero in tour con Battiato, quindi io facevo Battiato e nello stesso tempo Vasco. Mentre gli altri andavano a letto dopo il concerto di Vasco, io andavo all’aeroporto, prendevo il primo aereo e raggiungevo Palermo. Concerto con Battiato e poi ripartivo di notte con l’aereo e tornavo a casa. Mi facevo un culo che adesso non potrei più fare, anche perché ho una certa età (risata). Però per me Battiato è stato un personaggio incredibile. Ma anche la sua musica che non conoscevo bene, perché io ero un rocchettaro. Dopo che ho conosciuto lui, ho sentito la sua filosofia e i suoi pezzi. Quando mi alzo la mattina, penso al suo pezzo “la cura”, un pezzo straordinario, pura poesia.

Mi parli dei tuoi 40 anni con Vasco Rossi?

Come ti dicevo prima, io suonavo in Germania con Gianna Nannini, mentre facevo i dischi di Vasco. Però la Nannini mi poteva pagare di più, perché lei era prima in classifica in Germania, Austria e Svizzera, quindi era molto più famosa, mentre Vasco era ancora all’inizio, era ancora al disco “Colpa d’Alfredo”, capito? Vasco era appena uscito di galera, perché è stato dentro 27 giorni a Pesaro per cocaina. Appena uscito di prigione mi chiama attraverso mia moglie, perché stavo in Germania e mi dice: “Senti Gallo, voglio fare un tour della madonna”.  Io sono stato in Germania dal ’77 all’84 ed ero un po’ stanco di stare lì e mangiare crauti e wurstel. Mentre stavo incidendo “Fotoromanza” a Colonia,  ho detto a Gianna Nannini che avevo intenzione di tornare in Italia. Lei non mi ha salutato più per dieci anni, però quando poco tempo fa ha saputo del trapianto del fegato mi ha mandato questo messaggio: “ Sei sempre il mio Gallo rock”. Mi ha commosso. Dicevo che ho lasciato la Germania e ho iniziato le prove del tour del 1984. Però io già incidevo, perché “Siamo solo noi” è dell’80 e l’inizio di quella canzone è mio.  

Con la musica hai girato mezzo mondo. Qual è il pubblico più caloroso?

Dipende dalla musica che fai. Con Battiato non c’era clamore, perché tutti stavano religiosamente in silenzio ad ascoltare, perché era proprio una musica di arrangiamenti e di parole da ascoltare. Con Vasco ci sono certi pezzi da ascoltare, ma anche dei pezzi da far casino. Gianna Nannini, che in Germania suonava con me e il mio gruppo che si chiamava The Prima Donnas, era prima in classifica con “L’America” e lì non erano abituati a vedere una cantante con il vibratore in mano e con la bandiera americana e lei che cantava “E mi tocco l’America”. Sono restati stupefatti, come in Italia del resto. 

Fra colleghi musicisti hai trovato più rivalità o amicizia?

Io ho sempre fatto un po’ una vita solitaria. Ora ho una mia band, i miei musicisti con i quali mi sento come fossero fratelli. Adriano Molinari, batterista di Zucchero, Fabrizio Foschini, tastierista, che ha lasciato il gruppo degli Stadio e vuole suonare solo con me. Poi Cristian Cicci Bagnoli, chitarrista, che io tratto come se fosse mio figlio. Lui faceva il cuoco in una mensa. Io andai a sentirlo suonare e mi impressionò, perché non suonava la chitarra, lui era la chitarra, era ancora un ragazzino e non sapeva suonare bene. Però si sente quando uno si mette alla chitarra, anche se non sa suonare, però fa parte della chitarra stessa. Gli ho detto: “Cristian, vieni a casa mia domani, mi fai due bucatini alla matriciana e parliamo del tuo futuro”. Lui ha smesso di fare il cuoco ed è con me da 22 anni e fa parte della Gallo Team ed è anche responsabile del gruppo, anche perché io non posso stare dietro a tutto, ho una certa età (risata). Lui è anche cantante e più che altro abbiamo sempre parlato in macchina, non gli ho mai insegnato nulla, perché lui si è sempre dato da fare, capito? Questo è molto bello e sono molto contento. Adesso abbiamo finito di suonare e dobbiamo andare a Roma di nuovo in un locale meraviglioso, il Kill Yoy (Via Appia Nuova, 1228, ndr). Il proprietario ci vuole sempre e siamo pieni di contratti, perché con il Gallo Team facciamo  un po’ di canzoni di Zucchero, visto che abbiamo il batterista di Zucchero ha la voce proprio come lui, qualche canzone di Vasco, alcuni pezzi degli Stadio, però arrangiati da noi e poi alcuni pezzi nostri. Facciamo anche un omaggio a Ennio Morricone suonando ad esempio la colonna sonora del film “Mission”, scritta proprio da Morricone. Nel film l’interprete era Robert De Niro.

Da quanto conosci Red Ronnie?

Red Ronnie mi conosce fin da quando suonavo con Gianna Nannini. Ogni tanto mi chiama e mi dice: “Dai Gallo, vieni qui, parliamo un po’, fai due pezzi”. E io ci vado, ma per me lui non è Red Ronnie, per me è un amico. Mi segue ancora dal 1977, pensa da quanti anni ci conosciamo. Io non lo chiamo Red Ronnie, ma “Roscio” (risata).

Hai dei rimpianti Claudio?

Tanti rimpianti li ho soffocati bene. Però ne ho uno. Ho cominciato le prove con Vasco, non ricordo l’anno, ma ricordo che alla batteria c’era Deen Castronovo e  avevo fatto un disco con il produttore degli Scorpions. Mi chiama dicendomi: “ Senti, abbiamo sentito come suoni e ti vorremmo nella band degli Scorpions”. Io in quel periodo stavo facendo le prove con Vasco e ho rinunciato, però mi è dispiaciuto molto. Perché se mi chiamavano quando avevo finito la tournée con Vasco, io ci andavo. Partivo con la macchina e andavo fino a Berlino con loro, senza pensarci due volte. Gli Scorpions erano in un periodo bello, erano validissimi. Sono quelli che hanno fatto il concerto quando hanno abbattuto il muro di Berlino. Quello è l’unico rimpianto degno di nota.

Un domani come vorresti essere ricordato?

Ricordato? Tanto io ho pochi anni di vita ancora (risata). Vorrei essere ricordato come un bravo musicista, simpatico, che ha suonato con i migliori. Un musicista un po’ matto, ma sono ancora un po’ matto. Ad esempio ieri ero a Roma e mi sono trattenuto per far vedere a mia moglie il Colosseo, le terme di Caracalla e la sera c’era Maurizio Solieri che suonava nel locale dove avevo suonato la sera prima. Allora ho pensato di andare a sentire  il “Sola”, come chiamo affettuosamente e simpaticamente Solieri. Lui purtroppo ha quel problemino all’anulare della mano sinistra e al mignolo, che non li muove bene. Sono andato lì, ho fatto 5 pezzi con lui e ci siamo divertiti. Lui non ride molto mentre suona, con me invece ha riso molto e abbiamo rallegrato la serata. Il proprietario mi ha abbracciato e mi ha mandato già il contratto per il Gallo Team, perché ci vuole da lui, in settembre. Quindi sono molto contento e ho fatto felice anche Maurizio Solieri. Siamo stati 40 anni insieme a suonare. Ma nemmeno la mia prima moglie è stata 40 anni insieme a me e ho dovuto prenderne una seconda (risata), la Monia Donatini.

Hai mai scritto o dedicato una canzone a Monia, tua moglie?

Non ho mai scritto per mia moglie una canzone. Però ogni volta che mi capita di suonare “Ciao” di Vasco Rossi, sia con Vasco che con la mia band, la dedico a mia moglie.