Tommaso Labate ( giornalista e conduttore Tv e radio)    Roma 1.11.2021

                  Intervista di Gianfranco Gramola

“A me piace il brivido dell’ultimo secondo, per entrare dal punto di vista tecnico, essendo abituato al quotidiano e questo ha molto cambiato le regole nelle cose che faccio, anche nella radio”

 

Tommaso Labate è nato a Cosenza il 26 novembre 1979, ma è cresciuto a Marina di Gioiosa Ionica dove ha vissuto fino al 1997, anno in cui si è diplomato al Liceo Classico Ivo Oliveti di Locri. Quindi si è trasferito a Roma, dove si è iscrivitto alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (Luiss). Si è laureato con lode nel 2002, con una tesi sul Caso Moro. Nel 2004 ha iniziato la carriera giornalistica con uno stage a Il Riformista, diretto da Antonio Polito. E’ rimasto al Riformista fino al 2012, dove ha raccontato i principali eventi della politica nazionale e non solo. Tra questi, c'è anche il terremoto dell'Aquila del 2009. Più avanti ha collaborato con numerose testate, da Vanity Fair a l'Unità. Dal 2012, salvo una breve parentesi al quotidiano Pubblico giornale, ha lavorato per il Corriere della Sera. Labate è spesso ospite di talk show televisivi come opinionista, soprattutto alla Rai e a LA7. Ha partecipato, in qualità di commentatore e tifoso dell'Inter, a numerose puntate del programma di Mediaset Tiki Taka - Il calcio è il nostro gioco. Dal 3 agosto al 5 settembre 2015 è alla conduzione del programma di approfondimento quotidiano In onda, insieme a David Parenzo. Dal 4 novembre 2015 conduce #CorriereLive, nuovo appuntamento di informazione settimanale in diretta streaming sul sito del Corriere della Sera. Da gennaio 2016 torna in tv su LA7 con il programma Fuori Onda, in onda tutte le domeniche alle 20.30, sempre insieme a David Parenzo. Il 2 ottobre 2018 è uscito il suo primo libro, I Rassegnati. L'irresistibile inerzia dei quarantenni, pubblicato dalla casa editrice Rizzoli. Attualmente, assieme a Massimo Cervelli, conduce Non è un paese per giovani su Rai Radio 2.

Opere

I Rassegnati. L'irresistibile inerzia dei quarantenni , 2018.

Interista Social Club. Viaggio al termine delle nostre notti insonni nell'anno dello scudetto, 2021.

Intervista

Com’è nata la passione per il giornalismo?

Io da bambino non ero un grande amante dei cartoni animati. Mi piacevano però quegli oggetti apparentemente desueti che si chiamano giornali, che portava a casa mio papà. Diciamo che la passione me la porto dietro fin da bambino e conservo ancora i miei primi articoli perché sono stati scritti con la stessa macchina da scrivere  che mi è stata regalata da mio nonno ed erano le cronache  delle partite di Italia ’90. Avevo 10 anni e mezzo all’epoca e, curiosità, con quella stessa macchina da scrivere che mi è stata regalata da mio nonno, poi ho sostenuto l’esame da giornalista professionista 16 anni dopo. Quando sono diventato professionista io, l’esame si sosteneva ancora con la macchina da scrivere e il computer era vietato. Quindi quella del giornalismo è una passione che mi accompagna praticamente da sempre e soprattutto non avevo nessun piano B, nel senso che non avevo nessun lavoro che mi piaceva. Forse mi sarebbe piaciuto fare il ferroviere, però non ho mai avuto passioni da trasformare in lavoro se non appunto  quella di giornalista. Forse le idee chiare e l’assenza di un piano B mi hanno dato una mano.

Con quali maestri del giornalismo sei cresciuto?

A casa mia si leggeva la Repubblica, per cui da Scalfari in giù, diciamo che le firme mie di riferimento erano quelle di quel quotidiano. Da grande però, con mia grandissima felicità, ho lavorato al Corriere della Sera e il maestro da cui ho imparato il mestiere è stato Antonio Polito, che era vice direttore di Repubblica. Aveva fondato questo grande giornale nazionale che si chiamava Riformista e diciamo che ho imparato tutto là dentro. Fra l’altro sono stato molto fortunato nell’aver avuto la possibilità di fare una stage al Riformista a 23 anni, che poi si è trasformato in un contratto a tempo indeterminato, quindi mi ha dato la possibilità prima di fare il praticantato e poi di diventare professionista. Quindi ho imparato il mestiere come quando si imparava 50  anni fa. Non ho fatto scuole di giornalismo.

Chi è secondo te la penna più graffiante del giornalismo italiano?

Non ti do una risposta perché secondo me le penne non devono essere graffianti. Le penne devono saper declinare, soprattutto nell’epoca della rete dove ci si picchia e si graffia senza problemi e può farlo chiunque. Io penso che il compito del giornalista è selezionare o meglio mediare e portare all’attenzione del pubblico le cose, a prescindere dalla chiave di lettura, già sapere definire una bufala da quello che non è, è il compito del giornalista. Soprattutto il giornalista sopperisce in questa fase storica al vecchio principio secondo cui la matematica non è un opinione. Oggi la matematica, soprattutto nella rete, da certa rete, viene trasformata in un opinione al punto che in giro c’è gente convinta che il covid non esista o che il vaccino faccia male. Quindi il compito del giornalista è separare il grano dal loglio, come si diceva nella Bibbia. Quindi questo è molto più importante in questa fase che saper graffiare, perché ti ripeto che di graffi, di pugni, di sputi ne è troppo piena la rete che, come diceva Umberto Eco, è nelle mani di chiunque.

Una tua ossessione professionale?

A me piace il brivido dell’ultimo secondo, per entrare dal punto di vista tecnico, essendo abituato al quotidiano e questo ha molto cambiato le regole nelle cose che faccio, anche nella radio. Esistono determinati tipi di giornalisti, quello che è molto bravo ma è ansioso e preferisce iniziare a scrivere subito perché ha paura dello spazio bianco o degli incidenti di percorso che possono capitare tipo internet che scompare, il computer che si scarica, ecc … Io cerco sempre il brivido dell’adrenalina dell’ultimo secondo. Penso a raccogliere più materiale, più notizie possibili fino all’ultimo e poi scrivere immediatamente. Questa è la mia ossessione che riguarda per l’appunto la tecnica professionale e me la sono portata anche nelle cose che ho fatto e faccio, dai libri a radio2.

Hai scritto il libro “I rassegnati”. Ma siamo davvero un paese di rassegnati?

Io ho scritto “I rassegnati” perché c’era il rischio che un pezzo di paese rimanesse fuori dal tutto. A questo pezzo di paese che, una volta smaltita la rabbia, l’urlo, l’antipolitica, ecc …non restasse che la rassegnazione. Era un segnale d’allarme, scritto nel 2018, e la storia purtroppo ha dimostrato che c’erano le ragioni per temerlo. E’ stato uno dei primi libri in cui si parlava del fenomeno dei rider, cioè dei fattorini che portano la pizza, ecc … All’epoca, parlo di soli 3 anni fa, era scambiato per un lavoretto per arrotondare. Già in quel libro era evidenziato che bisognava stare attenti a non scambiare per un lavoretto quello che era un lavoro vero e proprio, con cui delle persone cercano di campare e in determinati casi anche le loro famiglie. La storia e i racconti hanno dimostrato che quell’allarme era giusto. Comunque per alleggerire sono in uscita con un altro libro per la Mondadori, che esce il 9 novembre e che è invece una grande riflessione, un grande racconto sull’essere tifoso dell’Inter, che arriva nell’anno dello scudetto.

Oltre al lavoro, curi delle passioni nella vita?

Tantissime. Diciamo che sono una persona di quelle che un tempo si sarebbero  definite normali. Mi piace tantissimo il calcio, mi piace anche il racconto della politica, perché la vedo come una delle più complicate e allo stesso tempo semplici vicende dell’uomo. Per esempio sono ospite fisso della “Maratona Mentana”, in cui  vengono raccontati i fatti principali nel momento in cui avvengono, però quando per esempio “Maratona Mentana” riguarda le elezioni del Presidente degli Stati Uniti , io non essendo esperto di politica, non vengo invitato. Mi piace tantissimo guardarmela da casa. Mi piace molto il calcio e mi piacciono le letture e più di tutto amo la mia regione di provenienza che è la Calabria e il mio paese Marina di Gioiosa Ionica, che essendo distante dal mio vivere quotidiano, è forse la mia più grande passione.

In quale occasione sei venuto a Roma e come ricordi l’impatto?

Io sono venuto a Roma nel 1997 per iniziare l’università. Ho fatto scienze politiche, ma considera che tutt’oggi se dovessi dire il motivo che mi ha spinto a Roma,  proprio non me lo ricordo, perché avevo sempre detto che volevo studiare a Milano o a Bologna. Sono finito a Roma un po’ per caso. L’impatto con la grande città per me che venivo da un paese di 6500 abitanti è stato incredibile, tant’è che se dovessi dirti il primo vero ricordo di Roma è stato attraversare in motorino la città sotto un nubifragio, facendo delle distanze che per come ero abituato io, erano incredibili, per raggiungere il cinema più vicino e andare a vedere il Titanic, che usciva proprio in quel mese, ottobre 1997.

In quali zone hai abitato?

Roma è suddivisa in circoscrizioni. Io ho fatto un po’ un’ascesa. Le circoscrizioni vengono definite per numeri e progressivi che vanno sistematicamente dal centro alle periferie. Io ho abitato nella  quarta circoscrizione, poi nella terza, poi nella seconda e poi nella prima. Ho fatto una piccola ascesa toponomastica al cuore della città.

Cosa ne pensi del nuovo sindaco?

Il sindaco Gualtieri penso che abbia un compito molto gravoso sulle spalle. Roma è una città, gli ultimi anni lo hanno dimostrato, per cui il legame con il sindaco è un po’ come nella pubblicità del pennello di cinghiale, non serve un pennello grande, ma un grande pennello, ossia non serve un sindaco nuovo, ma un nuovo sindaco. E spero che Gualtieri abbia tutte le possibilità di diventare un buon sindaco .