Aurora Endrici (comunicatrice di vino)     Mezzolombardo (Trento)  22.6.2012

Il vino? Come diceva Robert Louis Stevenson “Poesia imbottigliata”.

                            Intervista di Gianfranco Gramola

Aurora Endrici: una vita “immersa” nel vino. Il suo sogno? Coniugare nella sua professione creatività, cucina, forme e suoni. E aprire un ristorante.     

 

Per contattare la bella e frizzante Aurora, le sue e-mail sono aurora.endrici@gmail.com e aurora.endrici@tin.it  

Aurora Endrici è nata a Trento il 5 luglio (l’anno non si dice) ed è figlia di vignaioli trentini. Dopo studi di lingue, comunicazione e marketing del vino si è dedicata alla comunicazione del vino, in modo particolare del Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino. Liberà professionista dal 2002 Aurora Endrici collabora con la sua attività Vinoè Comunicazione all’organizzazione di eventi a respiro nazionale come Ein Prosit, Gradito l'Abito Rosso, Teranum, Mare&Vitovska e molti altri eventi nazionali. Tra le varie attività nel settore della formazione e comunicazione per Fisar Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori e Slow Food Italia, Aurora Endrici è membro della Associazione Donne del Vino Friuli Venezia Giulia. Nel 2011 è stata testimonial del vini del Veneto negli Stati Uniti e dei vini del Friuli Venezia Giulia in Asia. Aurora Endrici si definisce una donna indipendente nel lavoro ma molto radicata ai valori della famiglia, innamorata del mondo agricolo, dello stile di vita naturale, dei viaggi e delle belle arti.

Intervista

Qual è la tua professione, come ti definisci?

Io sono di fatto una comunicatrice di vino e sono anche sommelier. Mi occupo di comunicazione, quindi organizzo eventi, marketing, inoltre sono laureata in lingue. Per cui utilizzo molto le lingue, per portare il messaggio del vino, in particolar modo il trentino, il veneto e il friulano  all’estero e anche in Italia. Ho scelto questo lavoro perché mi fa viaggiare e perché è un lavoro che ti apre la mente.

Quindi sa uno a dieci, quanto te ne intendi di vino?

Direi abbastanza, ma per essere onesti direi nove, perché c’é sempre quell’un per cento che è la curiosità.

Com’è iniziato il tuo rapporto con il vino?

Sono figlia di vignaioli, una famiglia vinicola e avevamo campagna. Mio padre inoltre è enotecnico, nato a San Michele all’Adige e ha frequentato l’Istituto Agrario e quindi in famiglia si è sempre parlato di vino. Io sono nata in una Maso e la mia vita è nel vino fin da quando sono nata.

In Trentino c’è la cultura del vino?

In Trentino c’è la cultura del vino dal  punto di vista della valorizzazione del proprio vino, perché i trentini amano molto bere il loro prodotto. Secondo me c’è un pochino meno la commissione con la ristorazione, cioè si dovrebbe vivere il mondo del vino e della ristorazione i maniera più stretta, in osmosi e quindi essere più orgogliosi del proprio vino. La fortuna dei toscani è che sono molto orgogliosi del proprio vino, i francesi sono orgogliosi del loro prodotto, i friulani, che conosco benissimo, ne sono stra-orgogliosi del loro vino. Ecco… ci vorrebbe  un po’ più orgoglio  per il nostro vino trentino. Quindi beviamo Trento doc, non prosecco, anche se quest’ultimo non  è niente male.

Qual è il vino più bevuto in Trentino?

Secondo me il Teroldego, perché è il vino che i trentini amano, bevono e più sentono loro. E’ ottimo anche il Marzemino, ma come consumo non è paragonabile al Teroldego.

Il vino della mia Mezzolombardo è il Teroldego. Da anni si litiga con i cugini di Mezzocorona su quale sia il migliore. Qual è il tuo giudizio?

Molte ottime bottiglie di Teroldego in commercio provengono da vigneti contigui e, come sempre, è una questione più di campanile che di effettiva differenza tra i due territori... In realtà il Teroldego è frutto, forza ed eleganza, basta che provenga dalla Rotaliana. Se vuoi per mia esperienza Mezzolombardo è più carnosità Mezzocorona più suadenza del frutto, ma il must è “rotaliano”, questa è la vera differenza dai Teroldego d’altrove.

Quali sono i vitigni più prestigiosi in Trentino?

Sicuramente il Teroldego, che è considerato il principe dei vini trentini e la Nosiola, in modo particolare direi per gli autoctoni, ovvero nati e cresciuti in questa terra. Io trovo che il Trentino si esprime benissimo anche sullo Chardonnay, che adesso viene usato come base spumante, però veramente lo Chardonnay come vino fermo, addirittura da vini fermentati in legno, quindi Chardonnay, bianchi e barricati importanti, è un vitigno da rivalutare perché il Trentino lo sposa da Dio.

Perché il vino Novello è in forte calo di vendite?

Anche nel vino esistono le mode. Se pensiamo alla sartoria, nell’alta moda, un tailleur di Valentino, andava di moda 50 anni fa e va di moda adesso, perché c’è il taglio sartoriale, quindi c’è uno studio, c’è una verità. I pantaloni a vita bassa sono andati di moda 5 anni e adesso le ragazze non li mettono più, perché sono quelle mode temporanee. Il vino Novello è stata una moda temporanea per incassare subito. Già a dicembre sostanzialmente avevi dei soldini in cantina. Secondo me, adesso vanno più le Bollicine, tipo il prosecco. Si sta seguendo quel tipo di trend modaiolo.

Gli ingredienti per fare un buon vino?

Avere il vitigno giusto sul terreno giusto e la predisposizione a non fare troppa quantità, ma cercare di limitare. Quindi un mix di campagna, di intelligenza enologia e anche intelligenza commerciale.

Sulle etichette del vino c’è la scritta “Contiene solfiti”. Cosa sono i solfiti e a cosa servono?

I solfiti sono i responsabili di una serie di disagi a livello metabolico per noi, in particolar modo direi quello che vanno a impattare con il fegato, che poi ti fa venire l’acidità di stomaco oppure il mal di testa. I solfiti sono prodotti naturalmente a fermentazione analcolica e sono degli antiossidanti. Esagerando nella quantità di antiossidanti è vero che blocchi il vino, cioè sostanzialmente lo vai a ibernare e dopo può affrontare viaggi aerei, rimane molto fresco, con il suo bel colore, il suo profumo e quant’altro. Molto spesso alzando la soglia dei solfiti, che vengono aggiunti durante la fermentazione pre–imbottigliamento, rischi di avere un prodotto che ti fa male, proprio a livello di digestione. I vini che nascono da una vendemmia sana, da uve mature e che vengono vinificate correttamente, non hanno bisogno di tanti solfiti. E quindi sono più solubili e più salubri per noi. Questa dicitura è obbligatoria a livello internazionale e anche in Italia da qualche anno, proprio perché alcuni sono intolleranti totalmente ai solfiti. Quasi tutti i vini però contengono i solfiti.

Perché il vino viene messo in botti di legno o in quelle di vetroresina, di cemento o di acciaio?

Quelle di vetroresina si usano molto a livello locale, di casa, ma nelle cantine non le trovi. Trovi invece quelle di cemento, con l’interno di pasta edificata. La differenza tra quelle di  acciaio, di legno e di cemento è legata al tipo di uva, perché non tutte le uve, ad esempio, vanno in legno.

Quali vanno il legno?

Vanno in legno quelle che sono adatte a mantenersi nel tempo, a dare dei vini di affinamento. Quindi un’uva semplice come potrebbe essere il Müller Thurgau che è fresco. Per mantenere la freschezza intanto non devi tenerlo 10 anni in bottiglia, perché non va a migliorare tenendolo lì 10 anni e allora va bene nell’acciaio, perché l’acciaio ti mantiene la freschezza dei profumi e non ti da un vino che resiste più di due anni solitamente. Se tu vuoi un vino che resista più di due anni, tipo il Teroldego o il Chardonnay piuttosto che un Cabernet, il legno permette proprio di inglobare attraverso i pori un po’ di ossigeno e l’ossigeno è un po’ come il cianuro, che ossida lentamente però contemporaneamente protegge il vino, lo complessa, ma lo rende forte anche all’invecchiamento. E quindi hai un progetto di un grande vino di qualità.

Qual è il tuo metodo di lavoro ossia la tua giornata tipo?

Dipende moltissimo dalle esigenze del momento, perché io sostanzialmente organizzo eventi e mi occupo di uffici stampa. Questo nel panorama del triveneto. Quindi la mia è una professione spesso e volentieri legata al alcuni periodi dell’anno più in una regione, altri periodi dell’anno, più in un’altra. E’ di solito legata molto a quello che devo fare in termini di programmazione, quindi comunicati stampa, invito ai giornalisti e soprattutto progettazione con il mio cliente, in genere sono Consorzi o gruppi di produttori e anche singoli produttori, di quella che deve essere  una strategia di comunicazione di quello che loro stanno facendo. Quindi anche semplicemente passare delle ore a discutere su come sta andando il mercato, cosa va spinto, come vanno comunicate le novità. Perché il mondo del vino oggi ha la necessità di essere comunicato con onestà, perché il consumatore è molto meno stupidino di una volta, cioè beve meno le cose e i produttori hanno la necessità di comunicare e vendere, ma non deve essere una meteora, un fenomeno. Deve essere un processo a breve – medio – lungo termine di comunicazione. Il mio lavoro è un po’ aiutare in questo con la comunicazione e marketing il mio cliente a fare un percorso negli anni.   

Uno dei tuoi clienti?

Si chiama “Al Masetto” ed è la cantina Endrizzi. E’ a San Michele, di fronte al ristorante “da Silvio”. Questa cantina è stata fondata 126 anni fa da un mio avo, che è sceso dalla val di Non, esattamente da Don, e l’attuale proprietario è Paolo Endrizzi con sua moglie Cristina, che è un mio cugino di quarto grado. Io mi occupo di pubbliche relazioni anche per la sua cantina, che è una bellissima realtà.

L’enologo deve avere più palato o più naso?

Direi di più naso, perché il palato sostanzialmente è anche più semplice. Noi abbiamo quattro sapori in bocca e nel vino trovi 500 aromi diversi. Quindi dagli aromi positivi, agli odori negativi del vino e l’enologo deve essere in grado di trovare il “pelo nell’uovo” del prodotto.

E’ vero che ci sono dei sommelier astemi?

Io fondamentalmente bevo molto poco, ma assaggio molto. Credo di avere un ottimo palato, molto allenato, perché sono ormai 15 anni  che ho fatto i miei studi e una vita che sono immersa nel mondo del vino. Come dicevo bevo poco e conosco dei colleghi che non bevono assolutamente, perché considerano il vino una sorta di elemento di lavoro. Quindi assaggiano per lavoro, poi staccano e non toccano il vino. Astemi no, però sommelier non devono in quantità, ce ne sono tanti. 

Qual è il premio più ambito per un’azienda vinicola?

Rimane tuttora il “Tre Bicchieri”, che sono rilasciate dalla guida Gambero Rosso di Roma. Anche se in realtà con le guide c’è una presa di distacco dei produttori.

Perché sono pilotate?

Qualche volta sono meno fedeli regione per regione. Il Gambero Rosso è più o meno fedele al vero succo della qualità. Il fatto è che i produttori si sono resi conto che oggi è la comunicazione diretta al consumatore finale, attraverso i social media, quindi attraverso internet e attraverso i siti che su internet stanno diventando sempre più importanti. Vedi il Wine Blog di Luciano Pignataro, il Tigullio Vino e altri siti locali, tutti siti che hanno il contatto diretto con il consumatore, dove comunichi la tua verità che arriva direttamente al consumatore. Il consumatore attento, oggi più che consultare le guide, è abituato ad andare su internet.

Ci sono dei vini trentini che sono stati premiati?

“Tre Bicchieri”, si. Questo premio va al metodo classico, al Trento DOC. Non ricordo quanti ne ha dato nella guida 2012. Purtroppo noi in Trentino soffriamo sempre un po’ rispetto alle altre province d’Italia, in particolare modo Bolzano, che è  il nostro diretto concorrente. Comunque “Tre Bicchieri” ne abbiamo, anche se onestamente potrebbero essere di più. Io penso che il Vino Santo del Trentino che non ha mai preso i “Tre Bicchieri” è un orgoglio italiano, tra i passiti del mondo. Mi auguro che questo vino venga premiato. 

L’alcoltest ha influito drasticamente sui consumi di vino?

Moltissimo. Difatti i ristoratori che sono abituati a lamentarsi abbastanza frequentemente per tutto, si lamentano molto con i produttori di vino sul calo delle vendite, per il fatto che il cliente beve molto meno. E’ un dato di fatto. Io, da tanti anni, tengo lezioni di degustazioni, corsi FISAR per aspiranti sommelier, per lo sloow food e mi accorgo che gli allievi che vengono a questi corsi, sono tutti spaventati all’idea di dover assaggiare con me sei vini quella sera e uscire un po’ brilli. In realtà nelle degustazioni si può anche sputare e quindi da queste serate nessuno esce brillo.  Ci sono comunque dei territori che si stanno organizzando. Mi viene in mente un caso molto bello di Treviso, Valdobbiadene, che conosco e frequento per lavoro, dove i ristoratori organizzano dei pulmini e questa è un’idea o meglio una soluzione per il futuro. Anche i taxi sarebbero una soluzione, se costassero un po’ meno.  

Ho letto che il produttore vinicolo Mario Poier, nel 2010 ha ideato il “Filii”, un vino a basso contenuto alcolico, chiamato anche “salva patente”. Cosa ne pensi?

Va benissimo, ma dipende sempre dalla quantità. Io penso che non sia l’alcol che fa la qualità del vino, né in poco, né in tanto. Ci possono essere vini straordinari sui 6 o 7 gradi e mezzo come il Riesling del Reno, della Mosella che sono tra i grandissimi vini bianchi al mondo, dove però l’equilibrio è dato dall’acidità e un residuo zuccherino con il profumo minerale. Quindi poco alcol, grande qualità. Ci sono dei vini straordinari, a un grado alcolico importante, che non ti accorgi neanche mentre li bevi che hanno un grado alcolico così alto. Sto pensando ad un vino che fa la famiglia Endrizzi che è il Teroldego Gran Masetto, che fa 16 gradi. Tu lo bevi e non te ne accorgi neanche. Va giù come il Rosolio, perché tu valuti la parte del frutto, della freschezza, del tannino dolce e non ti accorgi che hai un grado alcolico importante. Il grado alcolico non deve essere l’unica misura con la quale uno valuta la qualità del vino, anzi io lo dimenticherei. Prenderei altri fattori, anche perché se bevi bene e sei soddisfatto, comunque bevi poco perché ti basta quel poco.   

Il gastronomo filosofo Luigi Veronelli, ha detto:”Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria. Condividi?

In un certo senso, si. Per un semplice motivo, cioè perché a me piacciono tutte le cose che sanno di individualismo e che sono anche un po’ spettinate. La bellezza troppo perfetta che viene data dalla perfezione di tutti fattori, rischia di diventare un clone. Mentre mi piacciono quel neo, quel capello fuori posto, anche delle volte  quell’errore che può essere un difetto apparente, che però ti fa ricordare la persona. Molto spesso il vino del contadino ha dei difetti oggettivi. E’ troppo tannico o puzza un po’ o magari è troppo leggerino. Però è un vino che solitamente ti parla di chi l’ha fatto ed è il genere di vino che, nella qualità del vino non del contadino, ma della cantina, che io vado di solito ad amare, premiare e comunicare. I miei clienti ho la fortuna di scegliermeli e sono esattamente questi. Sono aziende che lavorano esattamente con la propria personalità nel fare il vino, quindi aziende di cui sono fiera.

Sempre Veronelli era capace di sentire in un Brunello “l’abbraccio di una sinfonia di Gustav Mahler”. Nei vini trentini, che sinfonia si sente?

Secondo me nei vini trentini non si sentono sinfonie, si sentono rumori della natura, in particolar modo il rumore dell’Ora del Garda, questo vento che batte un pochino tutta la zona di Pressano, fin su nella piana Rotaliana, ecc… Quando vado a camminare con i mie cani nella zona di Pressano e Meano, zona del Nosiola, di Trento Doc, di Chardonnay, sento l’Ora del Garda. Quello è il suono che mi fa pensare al nostro vino, quindi il suono della natura, oppure un bel coro di montagna.

Qual è il tuo vino preferito?

Sono tutti i metodo classico del mondo. Da buona trentina è chiaro che amo il Trento Doc, adoro la Bollicine, però adoro anche lo Champagne, un po’ meno il Franciacorta, forse perché per campanilismo rimango trentina. Però mi piacciono molto le Bollicine del sud Italia, soprattutto della Campania, che è una regione che adoro, proprio dal punto di vista enologico. Mi piace viaggiare attraverso il mondo delle Bollicine. 

Qual è la differenza nella lavorazione del vino rosso e quello bianco?

Sostanzialmente  il contatto con le bucce. Nel vino rosso tu hai l’estrazione del colore delle bucce, quindi la macerazione, nel vino bianco senza le bucce, perché tu non devi ottenere il colore, ma devi ottenere semplicemente la freschezza aromatica dalla fermentazione della polpa. Questo è uno schema basico che in realtà ha mille differenziazioni, perché è vero come non è vero. Alcuni dei vini che amo di più in assoluto sono dei bianchi fatti come se fossero dei rossi. Io amo i vini del Carso perché sono meravigliosi e perché questa zona, enologicamente parlando, è una perla d’Italia. Nella zona del Carso (prov. di Trieste) e del Collio ( prov. di Gorizia), i vini bianchi  vengono macerati sulle bucce e assomigliano a dei rossi perché diventano color ambrato. Tu impari l’abc della lavorazione del vino, però dopo la tua personalità sta nell’interpretare nel mezzo, anche ecologicamente, cioè sta nell’intelligenza di chi interpreta il proprio vino.

Perché in Italia si importa tanto vino?

Se parliamo dello Champagne e del Bordeaux sono dei fenomeni che risalgono alla notte dei tempi, cioè all’inizio del ‘900. Sono più degli status symbol, come lo è per qualche vino della California e anche qualcuno del sud Africa. E’ vero comunque che importiamo tante etichette dall’estero, tipo appunto lo Champagne.

Nel nostro vino italiano c’è di vino estero?

La legge non lo permette, perché siamo molto ristrettivi con i Doc (denominazione di origine controllata), gli IGT (indicazione geografica tipica), i VDT (Vini da tavola), ecc…, perché i vini devono essere prodotti in determinati comuni, previsti dal disciplinare di produzione. Anche i vini da tavola devono essere fatti con vini provenienti dal panorama italiano e non può essere mischiato, che so, con quello della Siria. Questo, no. 

Il detto:”Il vino fa buon sangue” è vero o è solo una tattica commerciale per vendere più vino?

Mi viene in mente il Marzemino passito che veniva fatto ai tempi della Serenissima, soprattutto nella zona di Treviso. Ebbene tutti i passiti, fra questi mi raccontano anche il Vino Santo, venivano dati alle puerpere e agli anziani, perché l’acool si attiva nel micro circolo, il tenore zuccherino é nutriente, i tannini sono antiossidanti e quindi proteggono la parete arteriosa delle vene ma anche il cuore. Sostanzialmente tutto il sistema circolatorio ne beneficia. Da qui il detto “Il vino fa buon sangue”, però il vino deve essere buono e non impostato chimicamente.

Per gioco paragoniamo il vino a dei personaggi della politica. Il Prof. Mario Monti che tipo di vino potrebbe essere?

Direi un vino punitivo. Mi viene in mente un vino acido, ma proprio acido acido… un Pignoletto dei colli bolognesi, oppure un Pagadebit di Romagna.

Il Cavaliere Silvio Berlusconi? A che vino lo abbiniamo?

Un vino passito, molto ossidato (risata). Direi un Tavernello, quello in cartoni.

Bossi?

In assoluto un Inferno della Valtellina, oppure un Buttafuoco del Pavese, un po’ ossidato.

Rosy Bindi?

Un Albano di Romagna, perché è grassoccio, è un passito, né convincente, ma neanche troppo poco. E’ rigoroso, un po’ rotondo e non suadente al massimo. Oppure potrebbe essere un Vin da messa.   

Qual è il segreto del tuo successo?

Preferisco parlare di soddisfazione, più che di successo, cioè quella di essermi fatta conoscere anno dopo anno in un mondo antico ed al contempo estremamente contemporaneo come quello del vino in maniera indipendente, lavorando sodo, con passione e rispetto verso i produttori e i consumatori ai quali mi rivolgo; la soddisfazione di non essere mai scesa a compromessi, ottenendo quanto volevo con onestà, garbo e fermezza. Il vero successo è per me aver capito che la famiglia, le persone care che amo, vengono prima di tutto e che ogni soddisfazione nel lavoro viene dopo la mia vita di donna.

Altre soddisfazioni?

Abbiamo festeggiato ormai i 22 anni dalla nascita dell’Associazione italiana “Donne del vino” e siamo circa 700 donne operative nel mondo del vino, nella comunicazione, nella ristorazione e nella produzione del vino. Io ne faccio parte da tanti anni con passione e mi occupo anche di informazione e di degustazione. Una cosa che amo dire è che sono una professionista assolutamente indipendente, cioè la mia attività “Vino è comunicazione” ho il piacere di farlo da autonoma. Non è facile questo lavoro né per gli uomini né per le donne, però mi da molte soddisfazioni. 

Come mai ci sono così tante donne operative nel mondo del vino (comunicazione, ristorazione e produzione). Sono più brave, più intelligenti, più sensibili o cosa rispetto all’uomo?

Questa è una domanda che spesso mi viene posta. Lavoro spesso con donne enologo o titolari di azienda; ciò che mi convince particolarmente è la tenacia di una donna: in tempi di crisi per una donna è fisiologico non mollare la presa. Una donna è da sempre abituata a concentrarsi su più fronti -lavorativi e personali- bilanciando le forze (anche mentali). Come nella vita di ogni giorni secondo me non vale la pena ragionare in termini di confronto-scontro con l'uomo ma di co-creazione. Una volta scoperta la formula, succedono miracoli! Lo testimoniano le tante belle coppie del mondo del vino che hanno creato aziende modello di positività... in Trentino penso ad Paolo e Christine Endrici di Endrizzi, ad Antonio e Roberta Stlzder di Maso Martis, a Paolo e Mara Zanini di Redondel, ad Eugenio e Tamara Rosi...

Hai avuto dei riconoscimenti?

Ne ho avuti tanti. La cosa però che per me è stato veramente un orgoglio è l’essere stata scelta come testimonial di alcune zone viticole, dove io ho iniziato a lavorare una decina di anni fa, soprattutto perché mi hanno scelta pur non essendo del posto. Parlo del Veneto. L’anno scorso sono stata negli Stati Uniti a lungo, come testimonial dei vini del Veneto, proprio perché dopo anni di collaborazioni con i produttori di quella regione, è stata riconosciuta la mia capacità, la mia professionalità. Quindi fare da testimonial vuol dire rappresentare in lingua inglese, nei ristoranti piuttosto che con la stampa, una regione che vinicolamente pesa in qualità. E’ una bella gratificazione. Stessa cosa in Asia, testimonial per la regione Friuli Venezia Giulia, in  particolar modo per quelli dei colli orientali. Questo significa che hai seminato bene e per me è un grande riconoscimento.   

Un tuo sogno professionale?

Un mio sogno è quello di coniugare nella professione le mie passioni da condividere  con le persone: la creatività, la mia passione per la cucina, il design, i viaggi e i sapori etnici, le forme e i suoni. Credo ne nascerà un concetto di ristorante, per ora faccio le prove in casa mia!

Come prevedi sarà la vendemmia 2012?

E’ un’annata che è partita molto piovosa, per fortuna che c’è questa botta di caldo che, da come mi dicono gli agronomi che consulto nelle cantine, in Trentino sta facendo molto bene, un aiuto che probabilmente sarà molto equilibrato, perché se va avanti così, un estate in cui c’è calore e giuste piogge, sarà un’annata di grande qualità.